venerdì 29 giugno 2012

The Gentlemen's Agreement - Carcarà

The Gentlemen's Agreement, Carcarà,
Materia Principale, 2012
Scrivere una canzone triste lo sanno fare tutti, scriverne una felice anche, tutt'altra cosa se si vuole esprimere un giudizio e allora ricomincio.
Scrivere una bella canzone triste lo sanno fare in tanti, scriverne una felice in pochi, per lo stesso principio per cui una battuta è più complessa da concepire rispetto ad una lacrimosa poesia, ma non credo che ciò sia dovuto all'opera in sé, quanto all'approccio dell'artista, al suo stato d'animo. Se è vero che la musica, e l'arte in generale, ha anche la pretesa di comunicare emozioni e sentimenti, allora la ragione è chiara: come si può contagiare di gioia qualcuno se non la si prova in prima persona? come si può trasmettere allegria se non si sorride?! certo, esistono anche i buster keaton, ma dietro i loro sguardi seri e pensierosi si nascondono stralunate e comiche fantasie. La sensazione che giunge all'ascoltatore deve essere onesta, genuina e vera, altrimenti il rischio di cadere in una pessima imitazione sentimentalista di un'emozione aliena alla realtà è sempre dietro l'angolo, con lo spiacevole risultato di un "non mi dice niente". La risata e il carico di significato che si porta appresso è sempre stata la più difficile da rappresentare, forse perché nonostante se ne sentano tante, sono poche quelle profondamente radicate in chi le esprime; spesso sono solo una maschera di convenienza, un modo come un altro per distogliere l'attenzione da qualche tormento. Risulta perciò presuntuoso e inefficace voler rallegrare qualcuno senza ridere, confermando ancora una volta che
se non ti diverti tu, non lo faranno neanche gli altri.


I Gentlemen's Agreement hanno abbandonato asce, camicie a scacchi di flanella, cappelli di paglia e trattori, non senza prima aver costruito una zattera con gli alberi tagliati nel loro passato da boscaioli e hanno preso il largo lasciandosi guidare dalle correnti e disperdendosi nell'oceano. Lontani dalla civiltà, dalla campagna, dalla terra, hanno raccolto dal mare bizzarri strumenti provenienti dalle coste sudamericane e hanno cominciato a suonare, a cantare, a divertirsi, e in ogni nota risuona la gioia per quella libertà trovata in mezzo al niente. Delle inquietanti pinne si avvicinano, ma solo per raggiungere gli altri pesci che intorno al gruppo stanno già ballando, gli stessi che hanno attirato Carcarà e la sua ciurma mostrandogli quanto la vita possa essere bella, anche dopo un amore finito.
Muovendosi tra intuizioni semplici e brillanti, con un magnifico senso della melodia i mattatori napoletani raccontano la storia di un ragazzo che ha pianto e pianto per un amore terminato ma che tra ritmi caraibici e accordi swing riesce a ritrovare la gioia, immerso nel blu schiumoso dell'oceano che ha raccolto la sua disperazione. Una saudade nostrana, infarcita di mandolini e confusione, colma di speranza, e l'iniziale nostalgia per ciò che si è perso si trasforma con intensa leggerezza in una sentita felicità, per ciò che è stato, per ciò che è.
Invitato dalla contagiosa voglia di vivere mi aggiungo alla festa, e rido e rido fino ad arrivare alle lacrime.

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