Leonard Cohen, Old ideas, Columbia, 2012 |
Assorto dai pensieri non mi sono accorto che i passi mi hanno spinto in posti a me ignoti. Il cielo si sta rapidamente coprendo di grigie nuvole, e non avendo parapioggia né sapendo dove dirigermi, decido di rifugiarmi nel pub che scorgo poco più avanti, a chiarirmi le idee. Il locale è avvolto dalla penombra, ad una prima occhiata appare vuoto, ma una volta abituato all'oscurità oltre all'uomo pacificamente indaffarato dietro al bancone intravedo altre sagome all'interno della stanza. Tutto intorno ha un'aria decadente, antiquata, gli assi di legno che ricoprono la parete sembra sudino un'esistenza troppo trascurata, i cigolii del pavimento ad ogni mio movimento non sembrano naturali, ma mi permettono di raggiungere il tavolo più lontano dalla porta, dove mi siedo in attesa che qualcuno venga a prendere la mia ordinazione, cosa che non avviene. Da quando ho messo piede in questo anacronistico saloon, l'uomo dietro al bancone continua ad asciugare ripetutamente lo stesso bicchiere, come se anche lui appartenesse ad un altro tempo, bloccato in quella curiosa attività che è il rendere secco qualcosa che per natura dev'essere bagnato. Guardingo, esamino l'ambiente in cui mi trovo, quando il mio sguardo inciampa sulla figura di fronte a me, a due tavoli di distanza. Il suo aspetto è coerente con tutto ciò che mi circonda, i vestiti da elegante becchino, il borsalino appoggiato di fianco a quello che può essere un bicchiere di whiskey, la sua innaturale posizione, con la schiena curva sul braccio che regge il mento. Ho come l'impressione che stia contemplando qualcosa in fondo al drink, non appena mi chiedo cosa possa essere, noto alle sue spalle una grande custodia di cuoio nero che verosimilmente deve contenere una chitarra. Ho cominciato ad osservarlo da poco quando pacatamente si alza e si incammina nella mia direzione, venendo a sedersi proprio davanti a me. La mia diffidenza, tenuta fino ad allora sotto controllo, sta prendendo il sopravvento, accompagnata dall'annunciata seccatura di dover intraprendere un discorso con quel bizzarro vecchio, ma non appena apre la bocca capisco che non è venuto per una conversazione con me, vuole raccontarmi qualcosa, e così, con un rauco sussurro comincia la sua storia.
Porgo l'orecchio, incuriosito dal suono cavernoso della sua voce, consumata dal fumo e dalla vita, carica di pathos, e nonostante non capisca del tutto cosa voglia dirmi, sento che le sue parole raggiungono il mio animo, mi sento riscaldato dalla sua leggera modulazione, riappacificato dalla calma che mi trasmette. Parla proprio con me, anche se mi sento più un pretesto per il suo monolgo, sono il suo tu generico, e mentre cerco di afferrare i suoi messaggi, intorno a noi si sono raccolti gli altri presenti, alle spalle del vecchio ci sono adesso tre donne, non troppo giovani ma delle bambine al suo confronto e cantano, intonano dei cori che rendono ancora più penetrante la storia. Il barista non ha smesso di asciugare il bicchiere ma adesso è assorto dal racconto, forse è per questo che non mi ha ancora chiesto cosa voglia bere, ma è meglio così, preferisco ubriacarmi delle parole e dell'atmosfera sognante. Fuori ha cominciato a diluviare, o magari il sole ha vinto la sua battaglia contro le nuvole, ma qui dentro non importa. Da qualche parte arriva della musica, forse anch'essa esce dalla sua bocca, perché anche lei ha i toni miti e rassicuranti della sua voce. Il vecchio è sincero, la partecipazione è tanta che sembra stia pregando, che si rivolga ad un ipotetico dio più che ad uno sconosciuto.
Eppure Leonard sta parlando a me.