martedì 24 aprile 2012

Lotus Plaza - Spooky Action at a Distance

Lotus Plaza, Spooky Action at a Distance,
Kranky, 2012
È solo questione di ruoli. In ogni classe c'è sempre quello simpatico, quella bella, o il bullo, la stupida, o ancora il secchione, l'artista.. e se non ci sono, li si inventa. Per l'intero liceo ho impersonato uno dei personaggi più monotoni e noiosi del mio repertorio: dato che nessuno aveva scelto i panni dell'introverso, me li sono trovati addosso. Se non l'avessi fatto io probabilmente qualcun altro si sarebbe fatto avanti, ma attenzione, non è stata una scelta meditata, tanto meno un'alternativa da me considerata, è semplicemente successo, e così, nonostante i propositi fossero altri, ho recitato con zelo e convinzione la parte.
In qualunque insieme di persone, di qualsiasi tipo, è inevitabile il raggiungimento di un equilibrio interno, arrivando talvolta anche a forzature e concessioni pur di mantenere vera questa legge naturale, con la possibilità che lo scemo del gruppo sia in realtà più sveglio del leader.


Ero convinto che Bradford Cox nella sua realizzazione di Atlas Sound fosse l'apice della timidezza eppure quando lo vedi nei suoi Deerhunter ti sembra di vedere un'altra persona, carismatica ed eccentrica, alla disinvolta guida di un gruppo che se vuole sa andare giù pesante, ed è solo una svista se per caso si nota alle sue spalle un altro personaggio, innocuo e silenzioso anche mentre canta.
Lotus Plaza è il compagno di giochi di Atlas Sound, ed è lo pseudonimo di Lockett Pundt, il mite chitarrista dei Deerhunter. Se due prime donne in un gruppo sono troppe, lo sono anche due introversi bambinoni, e così ecco che l'equilibrio nei Deerhunter è l'esagerazione da entrambi i poli, proprio come due magneti dello stesso segno che entrano troppo a contatto e si allontanano violentemente.

Quando canta, Lotus Plaza lo fa con dolcezza, che cerca di nascondere dietro riverberi esagerati e chitarre squillanti. A tratti sembra di udire uno scolaretto cantare alla recita di fine anno, e le intonazioni adulte della sua voce, le parole strascicate appaiono tenere, dando un potere imprevisto alle composizioni. Di contrasto, le melodie sono forti, immediate e fresche, accompagnate ora da riff adolescenziali e maturi, ora da accattivanti ritornelli. L'album non ha pretese, non vuole imporsi, anzi, sembra quasi voglia fuggire da qualsiasi ambizione, e proprio questo suo atteggiamento percepibile in ogni traccia lo rende grande. Ti scivola nella testa e quando finisci di ascoltarlo ti stai ancora chiedendo "di già?!" che ricomincia a suonare nelle casse, perché quelle canzoni dalle candide intuizioni e dalle rudi concretizzazioni sanno arrivarti dentro.


Jet Out of the Tundra by Lotus Plaza on Grooveshark

martedì 17 aprile 2012

Tindersticks - The Something Rain

Tindersticks, The Something Rain,
Lucky Dog/City Slang/Constellation, 2012
Accordi ben cadenzati illustrano la scena, si apre il sipario rivelando l'oscurità, l'occhio di bue si accende, ne seguo il fascio d'illuminazione che attraverso pulviscoli d'aria avvolge lentamente la sagoma di un uomo, in piedi, l'ombra racchiusa tra le gambe. Ancora cerco qualche dettaglio che mi permetta di orientarmi quando la figura comincia a parlare, l'accento anglosassone e la cadenza teatrale ne tradiscono la provenienza. Racconta di una casa, di un vecchio, e un quadro si colora nella mia testa mentre seguo l'evoluzione sul palco: altre luci mostrano adesso gli artefici di quel suono monotono e crescente, un mantra ripetuto e fortificato, dalla trascinante lentezza. L'uomo continua a dialogare incurante dell'ascesa del suono, la sua voce è quasi sovrastata dalla barriera sonora, i fiati si mescolano alla chitarre, le percussioni s'impongono e improvvisamente tutto ritorna al suo posto, al buio, eccetto l'uomo, che ancora deve terminare la sua storia, la luce si affievolisce. 

Pervaso da un sentimento cupo e intenso sono pronto ad affrontare l'album. Colui che mi ha parlato per una decina di minuti in quella che è la perfetta introduzione a un disco introspettivo e lacerante, cede lo spazio a un timbro forte e denso, caldo, come la musica che lo accompagna. La voce si infuoca mentre le melodie scorrono dietro incessanti, sensazioni di attesa e di rincorsa contro il tempo si alternano senza sosta, lasciandomi un senso di inquietudine, che tra richiami ad arrangiamenti di altri tempi e tremolii ostentati non mi abbandona per quasi tutto il resto dell'album. A tratti si intravede una speranza, quasi un ironico colpo di gioia assestato inaspettatamente, accattivanti ritornelli per una catastrofe ormai annunciata, un ballo sul Titanic, ma forse un posto su una scialuppa lo si riesce a trovare e allora danziamo su queste amare note, mentre i sassofoni ridono dei nostri drammi esistenziali. A momenti di rilassato lounge si contrappongono episodi di vera tensione: colonne sonore di duelli, primi piani sugli sguardi glaciali e spietati, io nel mezzo. Fino ad arrivare all'approdo finale, in cui ci viene concessa una redenzione: naufragato in un oceano, mi trascino sui gomiti sulla riva di una bianchissima spiaggia che mi accoglie senza chiedermi nulla, perdonandomi ogni colpa e offrendomi un sicuro rifugio, e se mi sembra di star sognando eccolo lì, il finale che mi conferma che il viaggio, tra burrasche e tempeste, si è ora concluso nel migliore dei modi, in una pace ultraterrena.

Più che il luogo di provenienza, si ascolta la data anagrafica. The Something Rain testimonia la maturità di un gruppo ormai cresciuto, che non ha paura di invecchiare ma anzi è pronto a raccontarne la complessità, il risultato è un album potente, omogeneo e compatto. Esperto.

Show Me Everything by Tindersticks on Grooveshark

lunedì 9 aprile 2012

Mouse on Mars - Parastrophics

Mouse on Mars, Parastrophics,
Monkeytown, 2012
Sono stati necessari diversi anni per portare a termine la ricerca, ma finalmente ha raggiunto il suo obiettivo: Taboo, il gioco delle parole proibite, è stato ritrovato in soffitta. La durata eterna di ogni turno, e del tempo più in generale, resa possibile dalla solidificazione del sale della clessidra del gioco, è l'unico inconveniente frutto di tanti anni di trascuratezza. Eccetto questo particolare, niente potrebbe suggerire ai giocatori che la scatola sia rimasta chiusa da più di una decade, se non l'inaspettata presenza al suo interno di alcune cartucce del Game Boy, dimenticati resti dei lontani anni '90. Superato l'iniziale stupore ho voluto esaminare il tesoro riportato alla luce, ritrovandomi tra le mani quattro custodie, tre delle quali svolgevano ancora il loro compito proteggendo il leggendario Zelda, il puffoso Smurfs' Nightmare e il mitico Supermario; probabilmente la quarta avrebbe dovuto contenere il surfeggiante Waverace, rimasto fatalmente intrappolato nel disperso Game Boy.

Mi è capitato talvolta di ripensare con nostalgia a quella rudimentale console, non tanto col desiderio di riperdermi in interminabili sessioni di gioco, ma con la speranza di poter riascoltare i suoi suoni metallici ed elettronici. Ricordo musiche veramente piacevoli, tanto accattivanti da voler ritardare la conclusione di un livello per poter riascoltare il tema di quel mondo. Normalmente la durata di ogni brano era molto breve, ripetendosi all'infinito in una spirale di ritornelli, altre volte si ascoltavano veri e propri brani in formato midi. Non ero l'unico appassionato delle melodie Nintendo, a casa mia diverse erano le persone che smanettavano sul Game Boy con le cuffie nelle orecchie, e non certo per ascoltare l'accumularsi dei punti dal monotono suono di pioggia di cristalli.
Ho cercato inutilmente di procurarmi su internet quelle colonne sonore della mia infanzia col risultato di ottenere dei suoni sintetici, fortemente artificiali, piatti, niente che avesse a che vedere con quello ancora vive nella mia memoria, fino a quando ho ascoltato il nuovo album dei Mouse on Mars.

Conoscevo e apprezzavo già il duo tedesco per l'ironico e ipnotico Iaora Tahiti, disco ormai stagionato -uscì nel '95- ma comunque fresco -lo riascolto periodicamente, per dire, ha fatto da sottofondo ai miei primi spaghetti alla bolognese-, così appena ho saputo della loro nuova uscita -ero convinto non esistessero nemmeno più- dopo anni di silenzio, non ho esitato: ecco il prossimo disco!

Profondamente diverso dall'altra unica opera che conosco, Parastrophics appare un'accozzaglia di insoliti suoni, ravvivati qua e là da ritmi più o meno trascinanti e misteriose voci che potrebbero provenire dal mondo Nintendo. È difficile seguire la logica dell'album, come se mancassero degli elementi per potersi muovere e perdere agilmente nei suoi suoni, come se mancasse un gioco su cui appoggiarsi. Sembra che Parastrophics sia stato spogliato della sua natura di sottofondo per raggiungere il più ambito ruolo di musica, mancando tuttavia di una grande componente: salvo qualche episodio è estremamente complicato riuscire a entrare nei pezzi, riuscendo ad ascoltarli solo come supporto per qualcos'altro, comprendendo a fatica la loro struttura e ragione. Il disco comunque accelera, e se all'inizio è difficile ingranare, pian piano parte, arrivando a capitoli davvero potenti, in cui la preparazione iniziale trova giustificazione e il ritmo pervade l'ascoltatore, fino a esplodere nell'intenso finale, momento in cui l'album arriva davvero a compimento.

Che sia una competizione, una battaglia o un semplice tetris, per funzionare c'è bisogno della musica adatta. Parastrophics è quella giusta, per qualsiasi videogioco.

Seaqz by Mouse on Mars on Grooveshark

lunedì 2 aprile 2012

Lambchop - Mr. M

Lambchop, Mr. M,
Merge/City Slang, 2012
Dopo un viaggio può capitare di mettere le mani in tasca e di trovarsi tra le dita la cartina della città visitata. Può succedere di volere esaminare quel tesoro inaspettato, e allora scrupolosamente si sfoglia la mappa facendo attenzione a non danneggiarla ulteriormente, chiedendosi come fosse possibile che solo qualche giorno prima si potesse essere stati così negligenti nel piegarla così tante volte seguendo il verso sbagliato. La gente intorno potrebbe confonderti per un turista del tuo stesso paese ma la mente è altrove e lo sguardo inceppa sui nomi delle vie colorate, sulle figure stilizzate dei monumenti e dei palazzi, e intanto ripercorri con la memoria i momenti che hai vissuto, tutta la strada che hai percorso, i luoghi vissuti o anche solo intravisti lontanamente, le interminabili passeggiate alla ricerca di un rifugio dalla stanchezza, e le immagini si accavallano le une sopra le altre, lasciando spazio ad un sentimento vago, malinconico e allo stesso tempo felice. Può accadere che tutto questo avvenga mentre la voce di Kurt Wagner ti parla nelle orecchie mentre i suoi Lambchop lo accompagnino, e allora la sensazione si tinge di nostalgia e di una più profonda felicità.


Gli struggenti violini dei primi secondi sembra vogliano scrollare di dosso la reputazione di gruppo country, e se il concetto avesse bisogno di essere ribadito, ritornano ciclicamente nell'album, e il messaggio è sempre lo stesso: qui c'è molto più di Nashville. 
La voce tremante, un vibrato naturale, sembra piangere per una colpa commessa e la lentezza dei brani carica di attenzione la confessione che ci viene fatta. Tutto sembra suggerirci qualcosa di triste ma è proprio quando ci si convince di questo che ci si accorge che c'è qualcosa più a fondo. I ritmi si fanno più vividi e speranzosi, la voce è debole ma ha abbastanza forza per esprimersi, e allora capiamo che ce l'ha fatta, di qualsiasi cosa si tratti, ora è salva, è viva e ha ancora tanto da dire, è una rinascita.


Intimo e introspettivo, l'intero disco avvolge l'ascoltatore, lo rilassa, lo culla, lo commuove per entrare nelle sue emozioni, mettendogli davanti la sua storia, che si tratti di un viaggio o di un'intera vita. Che ci si trovi sul tram, per strada o a letto, è sempre possibile rispecchiarsi nella musica dei nuovi Lambchop, a patto di essere disposti a farlo, perché non è un'esperienza facile, talvolta diventa perfino dolorosa tanto è intensa, non si tratta di intrattenimento sonoro, è una particolare forma di catarsi dove ti vedi dall'esterno e provi empatia per la persona che stai guardando.

The Good Life (Is Wasted) by Lambchop on Grooveshark