lunedì 13 gennaio 2014

Future of the Left - How to Stop your Brain in an Accident

Future of the Left, How to Stop your
Brain in an Accident
,
Prescription, 2013
Codesto solo possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Eugenio Montale

Ma tu, che musica ascolti?
Interlocutore

Nella mia presuntuosa ignoranza adolescenziale mi sono trovato spesso a rispondere con un superficiale "di tutto", convinto della verità insita in quelle due parole, seguite immediatamente da una lista di artisti e band che dessero conferma a quella apertura mentale appena affermata. 
Mi accorsi in seguito che i nomi citati appartenevano tutti al medesimo mondo, che altro non era che una minuscola parte dell'universo musicale che ci circonda, riassumibile nel sommario termine rock, neppure nel suo più ampio significato in quanto generi come punk o metal in tutte le loro sfumature non erano da me minimamente considerati. Allargai poi i miei orizzonti accogliendo nel mio tutto cenni di altri pianeti quali il reggae, lo ska, la disco music, ma anche il blues e il rock'n'roll, fino ad arrivare all'elettronica, al cantautorato.. e il mio semplicistico "di tutto" venne sostituito da un astuto elenco di ciò che non ascoltavo, trovandomi così coinvolto in interessanti conversazioni riguardo ciò che non conoscevo, salvandomi dall'imbarazzo di dover confinare in pochi secondi il mio amore per la musica.

I Future of the Left sono un ottimo esempio di ciò che non ascoltavo. Chitarre esagitate, urla disperate, atmosfere cupe e garage, l'aggressività, la contagiosa potenza di distorsori e rullanti violentemente colpiti, la semplicità armonica che non esce più dalla testa, pause e cambi di direzione in un collage noise di suoni, l'ironia punk di un kazu, cori da ubriachi a fine partita, eppure non so quante volte ho già ascoltato questo disco, con il desiderio alla fine di ricominciare da capo e rivivere quell'esperienza di onnipotenza tipica del rock più grezzo.

Disco variegato, in cui ogni pezzo rappresenta a modo suo un lato di questi mondi da me troppo a lungo ignorati, che adesso insistentemente risuonano nella mia testa,
e la voglia di conoscere, di una nuova prospettiva, di guardare quell'universo di suoni anche con un nuovo cannocchiale, dalle lenti più spesse e indistruttibili, che possano andare a fondo perfino laddove sembra esserci un buco nero.

domenica 5 gennaio 2014

Yo La Tengo - Fade

Yo La Tengo, Fade,
Matador Records, 2013 
Ero nervoso prima di salire sul palco, a dirla tutta ero nervoso già da diversi giorni, da quando la data si avvicinava sempre più all'oggi. Nonostante mi allenassi da tempo, a due giorni prima della scadenza non avevo ancora nulla di concreto tra le mani, solo qualche idea per la testa. Uno spettacolo. Un breve programma in cui sarei stato l'assoluto, nonché unico, protagonista. Un impegno che tanto leggermente mi ero assunto e a cui non potevo più sottrarmi, non tanto per questioni logistiche, quanto per orgoglio - se non l'avessi affrontato in questo momento, non ce l'avrei mai fatta.
Ancora un giorno, le intenzioni più chiare ma i numeri da presentare ancora da costruire, compito che riuscirò a portare a termine poco prima di andare a dormire, a notte ormai inoltrata, quando soddisfatto mi corico sotto le coperte, impaziente della reazione che l'indomani il pubblico mi avrebbe riservato.
Lo spettacolo fu un trionfo. Dei tre numeri che proposi mi stupì il successo che l'ultimo, il più semplice e giocoso, suscitò tra gli spettatori. All'impeccabile tecnica del primo segmento, alla trasudata poesia del secondo, era stata preferita la leggerezza del terzo.

La bellezza di Fade risiede proprio nella sua semplicità, nella sua essenzialità. Artigiani del suono da lungo corso, gli Yo La Tengo sono consapevoli che per impressionare non sono necessari giochi pirotecnici, piuttosto delle scintille, e con quella rassicurante tranquillità che solo ai veterani appartiene, dipingono incantevoli atmosfere dentro ogni canzone, che ad analizzarle sorprende scoprirne la semplicità, e ci si stupisce nel constatare quanta intensità possa portare un solo accordo, se lo si sa usare, se si ha qualcosa da comunicare.
I riverberi e le lunghe note, le calde voci, sussurri che dialogano con confortanti chitarre, e la benefica sensazione che il suono che ne esce sia lì a proteggermi, l'annuncio di una primavera che arriva sempre dopo un inverno, e intanto l'acqua bolle, le foglie di tè già nella tazza, le candele accese che si riflettono nell'oscurità dei vetri delle finestre, ed io mi stringo alla coperta, lascio che le palpebre mi coprano con lunghi intervalli lo sguardo, e sento l'incanto della musica.