lunedì 3 giugno 2013

Sunset - Gold Dissolves to Gray

Sunset, Gold Dissolves to Gray,
Autobus, 2009
Succede che mi sveglio, gli occhi aperti all'improvviso, lo sporco bianco delle mura che mi osserva. Resto immobile per qualche secondo dopodiché, senza nessuna ragione apparente, un sorriso si forma sulle labbra. Mi guardo intorno, alla ricerca di qualcosa di indefinito ma presente, e la sorpresa di trovare tutto esattamente al proprio posto - i vestiti sparsi per la stanza, la chitarra appoggiata alla parete, qualche scontrino caduto a terra ormai da giorni- enfatizza la gioia.
Succede che mi alzo, mi vesto, e nel rompere il passante della cintura trovo una nuova ragione di euforia. Tutto come ogni giorno, prendo le chiavi ed esco, per andare ancora una volta nello stesso posto di sempre, e mi stupisco nel vedere le facce annoiate della gente che mi cammina di fianco. Cerco i loro sguardi, schivi, e quando riesco a incrociarli esibisco il mio disinteressato sorriso.
Succede che questa irrazionale allegria possa essere contagiosa.
Piove, l'ombrello tra le mani, chiuso. Alzo il volto al cielo e assaporo le gocce che mi rigano le guance. Oggi è un giorno come tutti gli altri, e continuo a sorridere.

Succede che a volte si è felici, e non c'è bisogno di una ragione, o perlomeno di comprenderla. Si può tentare di approssimarne un'analisi, e allora ecco che si scorgono degli accordi in maggiore, con la tendenza alla settima, ma sempre al posto giusto, mai invadenti, e poi dei pianoforti saltellanti a scandire le battute, una voce soffice e complice, chitarre di un altro tempo che danzano sopra ritmi intimi e discreti. 
C'è poco da dire sulla felicità, perché nel momento in cui si comincia a porsi troppe domande è già svanita. La gioia è un attimo, e allora le canzoni volano via in rapida successione, cercando di mantenere vivo quel fugace sentimento, e quando giunge la fine del disco, ricomincio da capo, perché anche se piove, se il fiume straripa e il calore del sole è solo un vago ricordo in questa primavera che non c'è, oggi sono felice.

lunedì 1 aprile 2013

Baustelle - Fantasma


Baustelle, Fantasma,
Warner Atlantic, 2013
Lunedì dell'Angelo, domenica straordinaria.
Prima di arrivare ad un'intima poetica, spesso si passa attraverso l'imitazione, alla storpiatura e alla parodia. Forse era questa la ragione per cui tempo fa mi divertivo a sovvertire i testi delle canzoni italiane che per mia o altrui volontà riempivano le giornate, un ponte verso la mia lirica. Particolarmente felici erano le sperimentazioni a sfondo Afterhours, il cui apice si riassume in quel "qualcosa dentro di me / che mi masturba l'anima" della rivisitazione della vedova bianca; ma anche l'ironia che circondava l'ascetismo di Gesù Cristiano Godano, l'allora cantante dei Marlene Kuntz, prima che tagliasse barba e capelli. Se dovessi ripetere il gioco oggi i Baustelle sarebbero un ottimo tema, ancora una volta, perché già nel tempo fa appena menzionato era volontà un po' di tutti ascoltare i Baustelle, perfino studiarli e criticarli, per via di quel superfluo e talvolta misero citazionismo, fonte di infinite discussioni nella mia giovinezza.

L'adolescenza è ormai un ricordo, e così anche nelle parole di Bianconi, ora si è raggiunta definitivamente la maturità, quella seconda età in cui ci si trova a considerare ogni aspetto della vita, con un morboso interesse verso ciò che più ci respinge ed attrae, l'amore, la morte, e bastano un apostrofo e una lettera per cambiare l'umore. Seppure ad ogni strofa si respira un piglio agnostico, ad ammantare ogni concetto resta lei, l'anima, nel suo significato più nobile, poetico, quell'indefinita essenza che ci definisce attraverso ogni nostra azione, realizzandosi nell'amore, sublimandosi nella morte, e ancora apostrofo e lettera si accompagnano.

Se dovessi ripetere il gioco lascerei stare l'adolescenza, oggi userei immagini capaci di abbracciare cattolicesimo e sensualità, che descrivano la vaticinata e scongiurata decadenza italiana, di quella terra di casanova e padre pio. Ma nella sua complessità Fantasma è pregno, e per quanto l'abbia già ripetutamente ascoltato, confesso di doverne ancora cogliere a fondo l'entità, ché qui la sempre viva ambizione baustelliana si è spinta ben oltre al pop, confezionando un'operetta poetica, in cui la musica si adegua all'intensità delle parole, e allora c'è bisogno di un'orchestra perché di carne al fuoco ce n'è parecchia. Cinematografica, la stabile e chiara voce di Bianconi esige la comprensione dell'ascoltatore, consapevole della bellezza dei suoi sdruccioli versi, talvolta criptici, arcani, comunque eleganti, mentre la musica, morriconiana ed epica, si smuove in tipici risvolti baustelliani, trascinandomi in dimensioni sospese, quell'indefinito che la religione cerca di spiegare, ma basta la musica per avvertire.

venerdì 8 febbraio 2013

Foxygen - We are the 21st Century Ambassadors of Peace & Magic

Foxygen, We are the 21st Century
Ambassadors of Peace & Magic,
Jagjaguwar, 2013
L'immagine indugia sul volto inespressivo, sporco e sudicio dell'uomo per soffermarsi sul suo sguardo socchiuso, profondo e glaciale, le ciglia immobili. Stacco. Le dita tradiscono una certa tensione nella millimetrica avanzata verso la cintola, un tremolio che contraddice la sicurezza finora ostentata. Stacco. Un deserto distaccato e arido, due uomini che si scrutano, i respiri controllati, incuranti del vento che scompone i capelli. Le campane di una chiesa assente in scena stanno terminando la litania, i pistoleri si preparano alla sfida, l'ultimo tocco si avvicina, comincia la sua eco e le armi sono già sfoderate. Stacco. La mano spietata spara il primo colpo, non ne segue nessun altro. Stacco. L'uomo giace a terra, pagando per la sua lentezza.

Come fanno dei ragazzini ad avere nostalgia degli anni '60?
Il tempo addolcisce ogni cosa, la avvolge di un manto romantico, le dona quel sapore di passato con cui tanto ci piace ingannarci. A ripensarci, era così bello, e non importa se la memoria colora i ricordi con tinte troppo soffuse, un ritocco mentale che supera ogni diavoleria fotoartistica, ci si crede davvero. Ogni senso si acuisce, pronto a giurare di aver sperimentato la sensazione più piacevole, a quel tempo.

Gli uomini senza nome che scombussolano la vita dei becchini non sono mai esistiti, i duelli con cui risolvere i dissidi non erano accompagnati da alcun carillon, e certo non erano episodi di così larga frequenza, eppure si è costruito un fantascientifico mondo su questo passato mai esistito, dai sorprendenti risultati, che mi ha regalato la passione per il western all'italiana. Non è mai stato, ma è.

I Foxygen sanno che quello che rappresentano è un suono surreale, un'idea radicata da decenni di esaltazione del periodo, quei magici '60, quegli incredibili '70, in cui la musica si rigenera per diventare ciò che ancora oggi è, e loro vogliono vivere quel tempo, anche se delle circostanze che non dipendono da loro li hanno fatti arrivare in ritardo. Te li vedi, i nastri a cinger loro il capo, i lunghi capelli lisci che ricoprono le spalle, le camicie sgargianti aperte fino all'ombelico, e tutti quei colori che si mischiano, che si sciolgono. Parlare di citazione sarebbe riduttivo, perché tutto è originale anche se la tentazione dei rimandi è forti, anche se durante l'ascolto innumerevoli artisti sfilano nella mente, ma tutto ciò non è mai esistito, appartiene all'oggi, proprio come lo spaghetti western appartiene agli anni '70 e non al secolo precedente che mette in mostra. I Foxygen sono davvero gli ambasciatori del nostro tempo, perché il passato che vogliono riportare in vita non è mai stato, è.

San Francisco by Foxygen on Grooveshark

martedì 29 gennaio 2013

Rover - Rover

Rover, Rover,
Cinq 7, 2012
Amore mio,
è notte fonda, ma il pensiero di te non mi lascia assopire. C'è qualcosa dentro, qualcosa di indomabile, per cui non bastano le tenebre. Ascolto i miei respiri, regolari e intensi, osservo un punto impreciso del vuoto che mi assedia, lo affronto e ne esco sconfitto, abbasso la testa. L'oscurità mi sta inghiottendo quando un sorriso amaro mi sfiora le labbra, e a un tratto trovo le forze per riscattarmi, perché la disperazione non è la risposta, non lo è mai.
Allungo la mano, afferro la chitarra, la guardo, accarezzo il manico e assaporo le vibrazioni che il mio gesto provoca. La imbraccio, e come se le avessi avute da sempre dentro, suono le mie canzoni, mai sentite e mai sapute. Le dita si muovono da sole, pizzicano con una precisione finora a me ignota, scorrono agili sulle corde, guidate dalla tempesta che mi scorre dentro, e il soffocante silenzio è adesso interrotto dai miei arpeggi, dagli accordi che vado a formare, suoni intimi, sinceri, nudi.
Le labbra sussultano e una voce grintosa e decisa, che dallo stomaco ha lottato per uscire, si fa spazio nella camera, sdraiandosi sulle note che rieccheggiano ad ogni angolo, come se aspettassero solo lei. Le mie melodie sono dolci e delicate, a tratti forti e strazianti, e mentre canto gli occhi si illuminano, le mie grida si trasformano in un violento pianto, un ululato alla luna.
Queste canzoni sono per te. Se solo tu potessi ascoltarle, capiresti. Se solo tu potessi essere qui.. Ogni parola, ogni accordo, ogni nota parla di te, è per te, e forse è la musica che mi sta ingannando, ma mi sembra di averti qui.
La sofferenza è la migliore ispirazione per il poeta, e allora suono, suono tutta la notte, finché mi restano le forze, perché se lo faccio, tu sei qui con me. Ancora.
E ancora.

Chiudi gli occhi, lascia che la musica ti svegli, continua a sognare.

Aqualast by Rover on Grooveshark

lunedì 21 gennaio 2013

Karriem Riggins - Alone Together

Karriem Riggins, Alone Together,
Stones Throw, 2012
Radio. Giro la rotella, perché se devo immaginarmi una radio questa ha ancora le rotelle, e io sto muovendo quella per la ricerca del segnale. Il cursore rosso del display si sposta verso destra, a caccia delle frequenze più alte, quando un violento trionfo di fiati mi coglie impreparato. Frastornato, decido di restarci sintonizzato, aggiusto il volume, la ragione dell'altra rotella, posta simmetricamente a quella che fino alla sorpresa di poco prima stavo ruotando, stacco la mano dall'aggeggio e resto in ascolto. Pochi secondi e improvvisamente come era cominciata, l'atmosfera scompare per lasciare posto ad un'altra, ora ipnotica e sporca di un colpevole sudiciume. Il tempo di cercare di mettermi a mio agio e ancora la musica viene stravolta, questa volta si fa intima, notturna e rilassata, come se la fine di una lunghissima giornata mi stesse aspettando per distendermi, e.. degli scratch intervengono a risvegliarmi! Colpito dai drastici e repentini cambiamenti sonori guardo la radio, come in cerca di una risposta a questo suo bizzarro comportamento. Gli scratch si susseguono, ma a un tratto succede una cosa strana. Senza che io alzi un dito la rotella delle frequenze si muove, spostando il cursore ancora più in là e dando vita a una musica orientale e futuristica, dove flauti e sintetizzatori si uniscono in un'improbabile danza. Incredulo continuo a osservare la radio e mi sorprendo nuovamente quando il fenomeno si ripete, e la rotella mi offre ora un intermezzo acquoso, che lentamente arriva per poi subito allontanarsi e ad un altro gesto della rotella si trasforma in un ossessivo coro, monotono e trascinato. Capisco di trovarmi davanti ad un meccanismo inedito, una specie di radio dalla funzione random, capace di scegliere indipendentemente cosa riprodurre, e allora intuisco che voglia dirmi qualcosa, e la lascio fare, mi metto in ascolto.

L'hip hop non è fatto di sole parole. Non potevo affermarlo prima di ascoltare Karriem Riggins, batterista e produttore a cavallo tra due universi distanti eppure così legati. Ascoltando Alone Together si respira l'approccio tipico del jazz, quello dove non ci si interessa di compiacere l'ascoltatore perché più importante è dar corpo a un'interpretazione personale di uno stato d'animo, e l'atteggiamento tipico dell'hip hop, fatto di campionamenti e suoni che oscillano tra il funky e l'RnB, mischiando lo spirito festaiolo e liberatorio dell'uno alla sofferenza e l'intimità dell'altro. Si ascolta l'incontro tra un mondo e l'altro, come se Karriem Riggins stesse tracciando la linea di continuità tra jazz e hip hop, mostrando come questi due universi riescano a fondersi così bene, facce della stessa medaglia, e in questo caso caratteri della stessa persona. Ma un uomo non può definirsi in due qualità, non bastano, e così ecco che si trovano ritmi caraibici, un Caetano Veloso campionato in aiuto, scacciapensieri, souvenir dall'India e riff dall'Africa. 
34 tracce, senza alcuna organicità, ammassate piuttosto una di fianco all'altra, talvolta frammentate perfino al proprio interno. Registrazioni in presa diretta, sample ripetuti e dimenticati, dialoghi, improvvisazioni, rumori, basi, è come se si avesse tra le mani un campionario di ciò che potrebbe essere rap, eppure le parole qui non contano.

Hip hop strumentale, ovvero riuscire a raccontare coi suoni ciò che le parole non arrivano a dire.

lunedì 14 gennaio 2013

The Bird and the Bee - Ray Guns Are Not Just the Future

The Bird and the Bee,
Ray Guns Are Not Just the Future,
Blue Note, 2009
C'è un momento tipico delle commedie, verso la seconda parte già avanzata, in cui tutto ciò che si era costruito fino a quel minuto con tanta difficoltà e qualche risata sembra crollare, in cui inesorabilmente si spezza la magia che tanto ingenuamente pareva indistruttibile, e non importa se già sappiamo che gli sceneggiatori hanno previsto ogni mossa e ci stanno appositamente preparando per il grande colpo di scena finale, quello dove il tanto sperato trionfo arriva, più grande e sfarzoso di quanto si potesse volere, noi soffriamo. Proviamo empatia per il personaggio che a testa china cammina per le strade della metropoli, le mani in tasca mentre svogliatamente scalcia le foglie secche dal marciapiede, e ci accorgiamo che quell'uomo siamo noi, perché alla fine tutte le storie di amore si somigliano, ognuna così speciale eppure così ovvia. Stacco lo sguardo dallo schermo e guardo la poltrona di fianco la mia e mi sale un nodo alla gola nello scoprirla vuota, mi volto dall'altra parte e non c'è dubbio, sono solo. Con la testa immersa nel pensiero di ritrovarmi improvvisamente abbandonato, mi perdo l'imprevista trovata cinematografica che ha trasformato l'affranto uomo che un attimo prima camminava di fronte a me nel sorridente uomo vestito in frac e cilindro bianco mentre bacia la causa dei suoi ormai lontani tormenti.

Negli ultimi cinque, forse sei anni, ho ascoltato con cadenza regolare i Bird and the Bee, tanto da aver confuso l'unico disco e l'unico EP che conoscevo per svariati altri album. Ho scovato questo disco, il loro secondo, sperduto tra vecchi documenti appartenenti ad un altro periodo tecnologico, risalente al 2009. La sensazione di ascoltare con altre vesti gli stessi suoni che a lungo ho amato in una sola forma, è stata particolarmente piacevole. La musica dei Bird and the Bee scorre come fosse un corteggiamento, la voce nuda e sensualmente sfiatata si avvolge nelle soffici e delicate atmosfere che la proteggono, si sdraia su arpe e clavicembali, mentre i violini e le fantasie elettroniche la cingono, per non lasciarla più andare. La gioia, non l'allegria, pervade ogni suono, perché la consapevolezza della sua intrinseca fragilità non viene mai dimenticata, e così i ritornelli à la Gilbert O'Sullivan e le soluzioni à la Belle & Sebastian si fanno più profonde, talvolta amare, ma solo per riaffermare la dolcezza iniziale.

Esco dalla sala, e forse ancora influenzato dalla proiezione, rivivo l'idea di una coppia squattrinata, la pioggia che batte sulla finestra e i cibi pronti riscaldati a tardo pomeriggio dopo un'intera domenica trascorsa a letto, l'idilliaca immagine della convivenza, e fa niente se non si hanno i soldi, siamo così innamorati da credere di non averne bisogno. Lo sguardo perso per terra, cammino, le mani in tasca mentre svogliatamente scalcio una lattina d'alluminio che si presenta sulla mia strada, e mi accorgo di essere proprio io. Un ricordo, o forse solo fantasia, ma non dimenticherò mai quelle parole, e il glissare  di arpa e violini che ne seguirono,

I'll always love you.

Diamond Dave by The Bird and the Bee on Grooveshark