Uochi Toki, Idioti, La Tempsta Dischi, 2012 |
Sono prosaico. Quando scrivo lettere di reclamo, coordinate per appuntamenti, stringate risposte di approvazione, perfino nelle liste, mi dilungo in particolari, inutili dettagli preziosi solo al mio senso espressivo. Poco più che ragazzo, la potenza della parola e il suo significato cominciarono ad affascinarmi, e tra la stesura di un dialogo e un racconto, un giorno del penultimo anno di liceo decisi di vedere cosa ci fosse oltre. BuraniA è la composizione che inviai ad un giovanile concorso di poesia e che rappresenta un enorme traguardo nella mia personale ricerca linguistica. Partecipai alla gara sicuro dell'insuccesso competitivo, ma il gesto mi significava tanto, non saprei dire precisamente perché: il brano che mandai era un'accozzaglia di parole riunite solo dalla mia volontà, dalla piacevolezza del suono o dall'accostamento dei loro sensi.
In contrasto alla frivolezza di tante liriche pop relegate all'appoggio di una melodia qualsiasi, gli Uochi Toki affiancano disturbanti rumori a testi destabilizzanti, straripanti di messaggio, dove la violenza del tu spara addosso all'ascoltatore un altro punto di vista, completamente diverso, da cosa? da tutto, anche da se stesso.
Seguace dei migliori sofisti, Napo, l'instancabile voce del gruppo, ha intuito la potenza del suo mezzo, che se proprio volessimo avvicinarlo a qualcosa potremmo dire "rap", dove però rime e metrica perdono la loro abituale accezione per non compromettere minimamente il contenuto. Che si parli dell'immolazione alla scienza, moderna forma di religione, o del convenzionismo culinario, la parola gioca sempre il ruolo più grande in tutto il disco, raggiungendo il suo culmine in Tigre contro tigre, in cui il soggetto diventa proprio l'espressione, passando da beat box e onomatopee a scioglilingua e calembours, da spassose imitazioni a artifici teatrali, criticando implicitamente (o forse troppo esplicitamente), l'assenza di profondità laddove si pretende insistentemente ci sia, e così eccoci in piedi ad applaudire scenografi e tecnici quando davanti a noi si inchinano insipidi attori.
Seguace dei migliori sofisti, Napo, l'instancabile voce del gruppo, ha intuito la potenza del suo mezzo, che se proprio volessimo avvicinarlo a qualcosa potremmo dire "rap", dove però rime e metrica perdono la loro abituale accezione per non compromettere minimamente il contenuto. Che si parli dell'immolazione alla scienza, moderna forma di religione, o del convenzionismo culinario, la parola gioca sempre il ruolo più grande in tutto il disco, raggiungendo il suo culmine in Tigre contro tigre, in cui il soggetto diventa proprio l'espressione, passando da beat box e onomatopee a scioglilingua e calembours, da spassose imitazioni a artifici teatrali, criticando implicitamente (o forse troppo esplicitamente), l'assenza di profondità laddove si pretende insistentemente ci sia, e così eccoci in piedi ad applaudire scenografi e tecnici quando davanti a noi si inchinano insipidi attori.
Antimetropolitani in suoni industriali, bucolici nella loro alienazione, autoreferenziali e didascalici, gli Uochi Toki incidono dischi pur non essendo musicisti, non si preoccupano di rendere orecchiabili i propri pezzi, anzi, l'unico ritornello del disco potrebbe essere il peggiore che io abbia mai ascoltato dal punto di vista musicale; si spingono addirittura a un pezzo parlato quasi completamente privo di senso (riscattato e motivato però da quelle poche comprensibili frasi), eppure tutto l'album è denso, necessario.
Non si cerca la nostra approvazione, men che meno la nostra opinione, gli Uochi Toki si esibiscono in interminabili monologhi, curati e perfetti, e non importa se siamo o non siamo d'accordo con loro, perché sanno di avere ragione, e allora li ascoltiamo, facciamo tesoro degli spunti che ci forniscono, andiamo ad approfondirli, sviluppiamo un nostro modo di vedere e vivere le cose, senza farci rinchiudere in alcuna gabbia, restando autentici.