domenica 11 marzo 2012

Andrew Bird - Break it yourself

Andrew Bird, Break it yourself,
Bella Union / Mom+Pop, 2012
Sentire e ascoltare indicano azioni distinte.
A sentirlo, Break it yourself potrebbe sembrare un disco soporifero, dal facile sbadiglio, un innocuo folk dai richiami a una tradizione ormai superata, dove il continuo uso del loop non aiuta certo a vivacizzare le lamentele del violino, contribuendo invece a creare un suono ripetitivo, poco coinvolgente.
Ad ascoltarlo, Break it yourself è un disco delicato, evocativo, dalle melodie gentili ed accoglienti, dove i violini, tutti suonati dal talento dell'artista, si aggrovigliano e si sciolgono in acrobatiche manovre, la voce calda e profonda non va mai sopra le righe, e quando potrebbe farlo si trasforma in un elegante fischio.

Ho un rapporto speciale con la musica di Andrew Bird, autore di uno dei brani fondamentali della mia vita, eppure non sempre riesco a viverla come dovrei. A un primo approccio, Andrew Bird potrebbe sembrare la scelta perfetta per il sottofondo di una cena romantica, dove le conversazioni spaziano a toccare ogni aspetto della propria personalità, incuranti di ciò che scorre dietro le loro orecchie, ma sarebbe uno sbaglio. Ho avuto bisogno di ascolti attenti prima di assaporare al meglio questo nuovo gioiellino.

Ho ascoltato Break it yourself, e mentre lo facevo mi sono affacciato alla finestra. Davanti ai miei occhi non c'era più la città, ma una distesa sterminata di campagna, sulla destra potevo vedere i campi di grano e in lontananza un ruscello, sembrava immobile tanto era tranquillo, e poco sotto di me, accanto ad un vecchio spaventapasseri posizionato più per abbellimento del cortile che per un vero e proprio bisogno, un uomo. Aveva una chitarra a tracolla, e appoggiato al tronco che reggeva la sua gamba, c'era un violino, di cui si udiva il suono anche se restava a terra. Non ricordavo che periodo dell'anno fosse, ma si respirava un aria di tarda estate e il fieno raccolto sotto il cascinale non tradiva l'impressione. Il pomeriggio non era ancora finito, ma il sole cominciava a scomparire, lasciandosi dietro stanche ombre della giornata. L'uomo cantava, non c'era nessuno ad ascoltarlo se non qualche coniglio, che sembrava apprezzare l'esibizione. Un leggero vento muoveva l'erba, disperdeva le note tutt'intorno, riportando indietro dei leggeri echi, così da far sembrare che l'uomo suonasse il violino, la chitarra, e cantasse tutto allo stesso tempo. Ogni tanto gli sfuggiva un fischio, dolce, come una ninna nanna. La sera era ormai arrivata, l'uomo continuava a cantare, adesso al cielo, alle sue infinite stelle, mentre dalla mia finestra, io lo ascoltavo.

Solo dopo la mia metafisica esperienza ho scoperto che il disco è stato effettivamente registrato in un granaio, trasformato per l'occasione in una sala di registrazione dal contadino Andrew Bird.

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