The High Llamas, Talahomi Way, Drag City, 2001 |
Un vecchio standard jazz preferibilmente cantato, titoli di testa in windsor su sfondo nero, gente che si parla sopra in profondi discorsi superficiali, e poi la psicologia, l'assurdo, il caso, e quel sentimento di piacevole soddisfazione di assistere ad un altro film di Woody Allen.
Così per gli High Llamas, non ci sono sorprese, ogni nuovo album è una conferma, e una gioia. Eppure, se li si confronta attentamente, le differenze tra un'opera e l'altra sono evidenti, ma la cornice è la medesima.
Violini e fiati, suoni attenti e curati, un eterno e riconoscente amore per Brian Wilson e i suoi più maturi Beach Boys, delicate armonie accompagnate da timide voci.
Lo chiamano chamber pop, e per una volta mi trovo d'accordo con l'etichetta, in poche battute ci si ritrova catapultati in un'altra mondo, e davvero sembra di sentirli nella propria cameretta a suonare per te, a lasciarsi andare in abbozzi di infinite suite, solo per te.
Sean O'Hagan, il cuore irlandese del gruppo di Londra, ha un raro talento affinato col tempo per l'arrangiamento, tanto che gli episodi di Talahomi Way sembrano più degli arrangiamenti sorretti da melodie, e non il contrario. La voce perde il ruolo di strumento principale, nascondendosi dietro agli altri suoni, su tutti quelli degli archi, che per l'intero album sembrano danzare felici di una primavera appena giunta. Le strutture delle canzoni sono stravolte, strofe e ritornelli vengono anticipati dagli strumenti per poi essere ripresi dal canto, talvolta strofe e ritornelli non sono neppure presenti. Non è un caso che la traccia che dà il titolo al disco sia di questo tipo: il lungo finale, che comincia dopo appena quaranta secondi di un abbozzo di una bellissima canzone, non è altro che una progressione di accordi ripetuta a non finire, ma sempre in una maniera diversa, mostrando tutta la bravura dell'artigiano Sean O'Hagan. Forse è questo manierismo ostentato che non ha permesso agli High Llamas di raggiungere la fama che meriterebbero, o forse il continuo ridursi a cover band di ipotetici tesori perduti mai scritti da Brian Wilson. Dopo tanti anni di carriera Sean O'Hagan e il suo gruppo sembrano rassegnati a questo, a un album ogni tre o quattro anni, una manciata di concerti in patria e un paio di eccezioni all'estero, e dispiace, perché gli High Llamas sono un grande gruppo.
Sono ormai tanti anni che aspetto che vengano a trovarci in Italia, ma non ho ancora perso la speranza, intanto per ingannare l'attesa ascolto un'altra volta questo meraviglioso regalo,
Talahomi Way.