Tame Impala, Lonerism, Modular, 2012 |
Il concerto è l'incontro con l'artista. L'apice di una relazione, il momento in cui si concretizza quanto è racchiuso nei suoni, ricreandoli in un contesto estremamente intimo, diretto, rivolto all'ascoltatore, solo per lui, in quel preciso momento. Più di uno spettacolo, è l'esperienza fondamentale per cogliere appieno l'artista e l'interpretazione che dà alla sua opera, perché una volta nata questa potrebbe anche esistere senza lui, ma quando ti ritrovi davanti il creatore di quei suoni dare loro una veste inedita, sempre diversa, riesci ad andare al cuore della sua arte, a farti invadere dalla musica che ti circonda, presente e irripetibile. Alcune persone ce la mettono tutta per riuscire a dare eternità a quegli istanti, e allora ti distraggono con delle ingombranti macchine fotografiche, dando l'impressione di essere più interessati ad archiviare l'esperienza piuttosto che a viverla; altre invece non appena il ritmo comincia a farsi più frenetico si sentono giustificate ad alzare pugni e gomiti, dando finalmente senso alla loro impaziente attesa di salti e daichescattailpogo; altre ancora vedono nel concerto, soprattutto quello racchiuso nel formato festival, l'ennesima possibilità di socializzazione, corredata di birra e naturalmente amici.
Per quanto mi riguarda, concepisco il concerto come il mezzo principale di comunicazione tra me e i musicisti presenti sul palco, qualunque esso sia. La musica è il centro di questo dialogo prevalentemente unidirezionale, ma il mio apporto è fondamentale, gli artisti sono lì per me. Il luogo deve favorire questa connessione, permettendomi di concentrarmi appieno sulla creazione che mi circonda, per questa ragione amo i concerti nei teatri e nelle arene, un po' meno quelli nelle discoteche e negli stadi.
Non importa conoscere la musica che viene suonata, l'abilità di musicisti all'opera è anche quella di riuscire ad arrivare all'ascoltatore senza che questo li abbia mai ascoltati -mi è successo più volte di rimanere entusiasmato da "anonimi" gruppi spalla. Chiaramente se si affronta un concerto preparati, l'effetto può essere ancora più intenso, per questa ragione ho voluto conoscere i Tame Impala prima di andare ad ascoltarli dal vivo.
Suoni liquidi, che fluttuano, scorrono e si sciolgono. Distorsioni riverberi ritardi, una barriera sonora che si abbatte sulla mente, scaraventando onde di musica che rimbalzano per ogni angolo della testa, entrandoci confusamente per ricomporsi al suo interno. Canzoni semplicemente belle, esasperate e stravolte da un'idea, che le sublima attraverso suoni fluidi che avvolgono, e più stringono più ci si sente liberi. Spruzzi di colori accesi macchiano l'ascolto, rendendolo un variopinto collage di impressioni dai toni sorprendentemente opachi, perché sotto tanta euforia e freschezza si percepisce un certa inquietudine, che intensifica maggiormente la potenza del disco. Fare psichedelia in musica oggi è rischioso, ma Kevin Parker e i suoi Tame Impala ne hanno elaborata una propria, e dietro un visino innocente e una voce da bambino infastidito si nasconde un'uomo dalle idee chiare, con qualcosa da dire e la capacità di saperlo comunicare. Armato di innumerevoli artifici -in fase di montaggio palco mi ha stupito vedere comparire una sola tavola di effetti per la chitarra; mi ha rassicurato vederla affiancata da un'altra ancora più grande, per un totale di una ventina di pedali per un singolo strumento- il giovane Kevin Parker dà forma alle proprie immagini oniriche, e mi ipnotizza mentre la sua chitarra rincorre il proprio suono lasciandosi alterare da intricati meccanismi tecnologici.
Durante l'ascolto di Lonerism mi è successo una cosa strana. Mi trovavo immerso in una grigia palude, solo il mio capo sporgeva dal fango, riuscivo a respirare ma la sensazione che presto ne sarei stato inghiottito mi stava soffocando. Alzo la testa, sopra di me lontanissimi alberi stendono intricate liane che oscurano la luce del sole, facendomi credere per qualche istante che sia notte. Lentamente sento scivolarmi di dosso il liquame che fino a un attimo prima mi stava divorando, una strana forza mi attrae verso le fessure di luce che mi scrutano dall'alto. Una volta uscito dalla melma la mia ascesa non si ferma, adesso sono fuori, con tutto il mio corpo, ma continuo a salire, incessantemente, lentamente. Tendo un braccio verso l'alto e mi accorgo che anche i miei gesti sono rallentati. Una strana pace invade le mie azioni, la consapevolezza di raggiungere lo sbocco che mi libererà da questa prigione verde scura è una certezza, e non importa quanto ci metterò.
Ancora adesso, sto salendo.