giovedì 11 ottobre 2012

David Byrne & St. Vincent - Love This Giant

David Byrne & St. Vincent,
Love This Giant, 4AD, 2012
Che senso ha una recensione negli anni '00? Mentre si è ancora intenti a leggere l'intestazione - autore / genere / anno / casa discografica / durata - sullo schermo si è già caricata un'intera canzone tratta dal disco in questione; nel tempo che si spenderebbe a leggere delle parole che riassumono l'opera, si potrebbe ascoltare un estratto dell'album e crearsi una sommaria idea di ciò che ci si potrebbe attendere dal resto. In tutte i due i casi il giudizio che ne deriva sarebbe viziato da contingenze non poco rilevanti, nel primo caso dal recensore, nel secondo da qualche istante estrapolato dal contesto, ma perlomeno si ha un incontro diretto con l'artista, si potrebbe quindi concludere che l'ascolto sommario sia preferibile al tramite della recensione. In queste considerazioni non si tiene però conto della capacità del critico musicale, cultore esperto della materia e quindi più adatto a individuare ipotetici capolavori e ad allontanare i seducenti inganni del prodotto consumistico.
Sia l'uno che l'altro, direi. Magari prima si fa una scrematura attraverso la critica, evitando così di imbattersi in esperienze insipide, dopodiché si passa alla scelta personale, dovuta solitamente a ragioni minime - il nome del progetto, la copertina dell'album, l'associazione a qualcosa, l'istinto.. Infatti non basta il primo passaggio: troppi dischi sono considerati interessanti, troppe poche orecchie sono le nostre per dedicare un degno ascolto stereo ad ognuno di questi. Si da il caso che uno dei metodi più utilizzati per affrontare la seconda parte della scelta sia youtube: qui è facile rimbalzare da un'artista all'altro, spaziare tra generi più o meno affini, far attrarre la propria attenzione.

Non avevo intenzione di ascoltare David Byrne & St. Vincent per varie ragioni, comunque misere: il disco è frutto di una collaborazione, e raramente queste stimolano il mio interesse, soprattuto se uno degli artisti è a me ignoto; proprio in questi tempi ho deciso di continuare a coltivare i Talking Heads e anche se questo avrebbe potuto essere un incentivo ad ascoltare l'ultimo prodotto del loro leader, incredibilmente non lo era; la copertina del disco continua a non piacermi. Poi però sono capitato sul video di Who, e vuoi il bianco e nero, vuoi i fiati sbarazzini, fin dai primi istanti sono stato catturato. Gli artisti mi si sono presentati come se stessero rispondendo alle domande di Pina Bausch, mostrandosi nella loro eleganza e ironia, lasciando che la musica risplendesse di freschezza mentre si esibiscono in improbabili e trascinanti passi di (teatro)danza. Ho voluto immediatamente ascoltare anche il resto dell'album, forse dopo aver rivisto ancora un paio di volte il cortometraggio, permettendo così di inquinare la mia immaginazione, riempiendo la mia fantasia di immagini prefabbricate, per quanto belle. Il video è esteticamente impeccabile, e purtroppo questo ha fatto sì che mentre risuonavano nella mia testa le note di Who vedevo intorno a me la gente camminare in maniera sinuosa -e in bianco e nero- proprio come avevo visto fare a David Byrne e Anne Clark mentre assimilavo il brano le prime volte.

La prima cosa che salta all'orecchio mentre si ascolta Love this Giant è il ruolo insolito dei fiati. Tutto l'album, tutto!, sembra nato dall'esigenza di sfogare la potenza di trombe sassofoni corni tube su cui ogni struttura armonica si regge. Una batteria elettronica minimale, precisa e perfetta, accompagna le costruzioni, poco altro. Seppure sia David Byrne sia Anne Clark siano prevalentemente due chitarristi oltre che cantanti, le sei corde sembra quasi di non udirle, ad eccezione di alcuni interventi dal marchio tipico Byrne o St. Vincent (poi ho conosciuto anche lei, e in questo periodo oltre ai Talking Heads sono ritornati anche i Polyphonic Spree..!). Ogni canzone gode dell'appoggio incondizionato degli ottoni, e ci si ritrova a cantare perfino le parti a loro destinate. L'arrangiamento diventa così imprescindibile, non si riesce nemmeno a concepire una forma diversa da quella fornita, ogni brano ha bisogno di tutti quei fiati, senza di essi l'intero album perderebbe la sua essenza.

Mi era già successo di assistere a qualcosa di simile quando andai al concerto dei Cesarians, gruppo che alcuni definirebbero punk o perfino gothic. Mi aveva attirato la composizione particolare della band: tra gli strumenti nessuna traccia di chitarra o basso, al loro posto tromba, sassofono e corno, e l'effetto era sorprendente. Quest'album mi ha ridonato lo stesso stupore, ricordandomi quanto i fiati possano essere incisivi, liberati dal loro usuale ruolo di secondo piano. L'accostamento con una produzione dal sapore elettronico poi.. gente, che disco!

Who by David Byrne & St. Vincent on Grooveshark

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