mercoledì 3 ottobre 2012

Matthew Dear - Beams

Matthew Dear, Beams,
Ghostly International, 2012
La musica racconta il tempo, coglie lo spirito di un'epoca, lo elabora e lo rivela in tutte le sue forze e debolezze. Si potrebbe definire l'arte come una riflessione di un periodo. Si potrebbe, ma non lo faccio.
Ammiro le diaboliche costruzioni bachiane, mi sorprende la semplicità mozartiana impressa nella complessità, sono impressionato dall'epicità wagneriana (..) o ancora mi disinibisce lo sconfinamento nell'illecito jazzistico, mi stimola l'istinto rivoluzionario della pentatonica (..) eppure io sono altro.
Sparsa in tutta la gamma musicale riesco ad ascoltare ogni sfumatura della mia persona, ma difficilmente vi avverto la sua essenza. Il mio tempo ha bisogno del suo strumento.

Ho scoperto l'elettronica da troppo poco tempo per potermi professare un amante del genere, ma sono completamente stravolto dalla sua potenza espressiva, dalla sua capacità di riuscire a entrare nel mio corpo e sputarci fuori quello che vivo ogni giorno. Immerso in un mondo troppo complesso da comprendere, mi sento disorientato dalle indicazioni dei navigatori satellitari, invisibile di fronte alle innumerevoli parole che i cartelloni pubblicitari mi rivolgono, sorrisi forzati che mi seguono ovunque io mi diriga, mentre sulla faccia della gente leggo il disagio di doversi adeguare a qualcosa che non appartiene loro.

Il cemento è la mia natura, mi rifugio dentro a tunnel dai binari infiniti per raggiungere la mia meta, sempre troppo lontana, sempre troppo in ritardo. Le persone mi corrono davanti, e come una macchina fotografica con un'apertura d'obiettivo eccessivamente prolungata, vedo la loro angoscia lasciare la traccia dei profili alle loro spalle. Mi muovo in mezzo a quelle scie disumane e salgo sul mio vagone. La luce del sole non è mai entrata dove sono adesso, il grigio è il colore predominante, delle aste gialle sbiadite simulano il tentativo di nascondere l'opacità del luogo. Guardo i presenti intorno a me scendere e salire, ma sono sempre gli stessi.
Il ritmo scandisce la base del pezzo, un breve loop, freddo e meccanico su cui riesco a entrare subito in sintonia, dopo poche battute mi trovo già immerso in profondità, sono oltre lo spazio che mi circonda, da qui riesco a capire. Lascio che la musica completi il suo percorso, muovendosi attraverso passaggi che non sono consapevole di desiderare, le realizzazioni precedono le mie intenzioni, ogni suono è al posto giusto, essenziale. La forma è quella della canzone, stravolta ora dall'alienazione e l'indifferenza tecnologica, ora dall'esigenza di raccontare il contemporaneo, col risultato di una veste inedita, incredibilmente incisiva, vera.
Osservo i vicini, facce stanche e sguardi spenti, annoiati e annichiliti mentre guardano nel vuoto o fingono di interessarsi all'indice azionario, sempre troppo negativo.
Vedo una nuvola di fumo calare dal soffitto che cancella dalla mia visuale le monotone espressioni delle persone, le rende vaghe, imprecise, le deforma fino a farle diventare delle macchie indefinite, che si aggirano per la carrozza, fino a mischiarsi, confluendo in un'esplosione dai colori pallidi e smorti. Assisto alla scena immobile, rassicurato dalla voce profonda e sintetizzata di Matthew Dear che scandisce alle mie orecchie un canto primordiale, un rito vudu, una preghiera, o comunque un mezzo che mi preservi.
Dal mio tempo.

Do The Right Thing by Matthew Dear on Grooveshark

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