Grizzly Bear, Shields, Warp Records, 2012 |
Il grammofono ha portato la musica nelle case, donando all'ascoltatore la possibilità di vivere e rivivere il prodigio sonoro nella propria intimità. Le auricolari hanno esteso questa possibilità, rendendo ogni luogo un potenziale rifugio per sentire il proprio animo, distruggendo di fatto la magia.
Comporre è una faccenda personale. L'artista quando compone entra nelle proprie opere, ci vive dentro e cerca di trasmettere una sensazione, un'idea, un qualcosa, qualsiasi cosa, a chiunque vi si imbatta. Comporre è una faccenda personale sì, ma allo stesso tempo riesce a creare un intenso legame tra due esseri: l'autore e te, l'ascoltatore. Lo spettatore non è passivo, o almeno non lo dovrebbe essere, a lui infatti è dato il compito e il privilegio di recepire l'opera, di comprenderla, accoglierla, e viverla.
Arrivare dentro a uno sconosciuto non è facile, l'artista lo sa, non basta fare qualcosa di bello, bisogna andare oltre al semplice aspetto, è necessario imprimere un contenuto dentro quella veste estetica. Eppure la dedizione e la cura che gli artigiani dell'emozione prestano al proprio lavoro non sempre viene rispettata da coloro cui spetta il ruolo apparentemente più semplice, i fruitori.
Bombardati da una sconfinata quantità di stimoli, ci si trova continuamente costretti a scegliere di cosa beneficiare, favorendo spesso l'immediato al profondo, tradendo involontariamente il nostro rapporto con gli artefici. Con la convinzione di poter arricchire l'insaziabile desiderio di conoscenza, riempiamo ogni momento della giornata da nuove possibilità, senza permetterci riposo alcuno, e soprattutto dedicandoci all'impossibile senza concentrazione.
Me lo vedo, l'Artista che confeziona il suo regalo per l'Ascoltatore, lo ritocca incessantemente perché diventi più diretto, una spontaneità raggiunta solo grazie ad un incessante e duro mestiere. Non sa, l'Artista, che l'Ascoltatore non ha tempo da dedicare esclusivamente a lui, probabilmente investirà solo qualche ora per assaporare quel regalo, magari ritagliata da un lungo viaggio, o sovrapposta ad altre azioni. Non chiuderà gli occhi per farsi assorbire dal suono, non modulerà i propri respiri in base all'intensità del pezzo, non baderà alle singole note che si rincorrono, a quelle che si gonfiano o a quelle che vengono solo accennate, non ascolterà.
Vivo anch'io nel 2012, sono un ascoltatore di questo tempo, e nonostante sia una delle cose che più amo nella vita, ammetto di avere difficoltà a dedicare il tempo che vorrei alla musica. C'è un luogo però che mi ripaga di tutto il pessimo e superficiale ascolto di cui mi circondo. Probabilmente l'Artista si immagina l'Ascoltatore rintanato in un letto, avvolto dalle tenebre, mentre ascolta le sue opere, perché sa che è esattamente quello il luogo. Il momento più intenso arriva quando ci si lascia travolgere da ciò che si sta ascoltando, entrando quasi in uno stadio di dormiveglia, a quel punto la musica si impossessa di tutto il cervello, trasformando l'esperienza da uditiva a cerebrale e si dipingono delle sinestetiche immagini
mi trovo immerso in quello che rimane di una foresta, indosso una strana armatura, guardo le mani e mi accorgo di stringere degli strumenti provenienti da un'era ormai scomparsa. Scruto intorno a me le macerie ancora fresche di ciò che mi circonda. La sensazione di essere sopravvissuto ad una tragedia. Un tronco bruciato completamente nero attira la mia attenzione, mi ci avvicino per scoprire un cumulo di cenere. Stordito e confuso mi aggiro reggendomi a fatica sulle gambe, devo aver lottato, ma non ricordo contro cosa, non ricordo contro chi, e soprattutto non ricordo perché. Getto per terra quelle ridicole armi, un mazzafrusto e una daga spezzata, e mi domando come abbia potuto resistere così attrezzato in quella distruzione. Mi libero della cotta di maglia che mi rende difficili i movimenti e resto vestito solo di un paio di pantaloni sgualciti, strappati e sporchi. Per terra la sabbia, e solo allora mi rendo conto dei colori innaturali del luogo. Il cielo marrone sovrasta sopra il grigio consumato delle macerie, e un arancione spento attutisce i miei passi. Mi siedo e ascolto. Il suono di una rinascita, quella che inevitabilmente giunge dopo una sconfitta. Forse ho perso? Sono stato risparmiato per pietà? Sono scappato? Non lo so, sono vivo. Cotta di maglia, daga, mazzafrusto giacciono a terra e contrastano con la rovina presente, figlia di una catastrofe nucleare: una mostruosa e cupa nuvola mi osserva imperterrita dall'alto, espandendosi lentamente fino a ricoprire l'intera distesa con la sua incombente ombra. Echi e riverberi si trascinano nell'aria, come rievocassero ciò che doveva essere successo prima che precipitassi qui dentro. Ascolto il vento, che mi racconta di sofferenza, desolazione, solitudine. Voci ora stanche e sconfitte mi parlano di una fine ormai arrivata mentre altre più sfuggenti mi lasciano intravedere un nuovo inizio. Capisco che entrambe hanno ragione, essendo l'una la conseguenza dell'altra, e viceversa.
Mi faccio coraggio, mi rialzo e continuo a camminare. Adesso l'equilibrio è più facile da mantenere. Un insolito verde mi segnala la presenza di alcuni germogli sommersi dalla cenere, mi chino per liberarli da quel peso mortale e ne scopro degli altri vicini. Gli echi e i riverberi si solidificano, assumono spessore e colgo un senso di nostalgia, e di consapevolezza. Qualche nota di pianoforte aleggia intorno, vola via per poi ritornare. L'assenza è così presente.
Forse ho vinto? Sono stato io a risparmiarmi, mi sono fermato in tempo?
Sono ancora vivo.
Sono ancora vivo.