lunedì 24 settembre 2012

Grizzly Bear - Shields

Grizzly Bear, Shields,
Warp Records, 2012
Il grammofono ha portato la musica nelle case, donando all'ascoltatore la possibilità di vivere e rivivere il prodigio sonoro nella propria intimità. Le auricolari hanno esteso questa possibilità, rendendo ogni luogo un potenziale rifugio per sentire il proprio animo, distruggendo di fatto la magia.

Comporre è una faccenda personale. L'artista quando compone entra nelle proprie opere, ci vive dentro e cerca di trasmettere una sensazione, un'idea, un qualcosa, qualsiasi cosa, a chiunque vi si imbatta. Comporre è una faccenda personale sì, ma allo stesso tempo riesce a creare un intenso legame tra due esseri: l'autore e te, l'ascoltatore. Lo spettatore non è passivo, o almeno non lo dovrebbe essere, a lui infatti è dato il compito e il privilegio di recepire l'opera, di comprenderla, accoglierla, e viverla.

Arrivare dentro a uno sconosciuto non è facile, l'artista lo sa, non basta fare qualcosa di bello, bisogna andare oltre al semplice aspetto, è necessario imprimere un contenuto dentro quella veste estetica. Eppure la dedizione e la cura che gli artigiani dell'emozione prestano al proprio lavoro non sempre viene rispettata da coloro cui spetta il ruolo apparentemente più semplice, i fruitori.
Bombardati da una sconfinata quantità di stimoli, ci si trova continuamente costretti a scegliere di cosa beneficiare, favorendo spesso l'immediato al profondo, tradendo involontariamente il nostro rapporto con gli artefici. Con la convinzione di poter arricchire l'insaziabile desiderio di conoscenza, riempiamo ogni momento della giornata da nuove possibilità, senza permetterci riposo alcuno, e soprattutto dedicandoci all'impossibile senza concentrazione.

Me lo vedo, l'Artista che confeziona il suo regalo per l'Ascoltatore, lo ritocca incessantemente perché diventi più diretto, una spontaneità raggiunta solo grazie ad un incessante e duro mestiere. Non sa, l'Artista, che l'Ascoltatore non ha tempo da dedicare esclusivamente a lui, probabilmente investirà solo qualche ora per assaporare quel regalo, magari ritagliata da un lungo viaggio, o sovrapposta ad altre azioni. Non chiuderà gli occhi per farsi assorbire dal suono, non modulerà i propri respiri in base all'intensità del pezzo, non baderà alle singole note che si rincorrono, a quelle che si gonfiano o a quelle che vengono solo accennate, non ascolterà.

Vivo anch'io nel 2012, sono un ascoltatore di questo tempo, e nonostante sia una delle cose che più amo nella vita, ammetto di avere difficoltà a dedicare il tempo che vorrei alla musica. C'è un luogo però che mi ripaga di tutto il pessimo e superficiale ascolto di cui mi circondo. Probabilmente l'Artista si immagina l'Ascoltatore rintanato in un letto, avvolto dalle tenebre, mentre ascolta le sue opere, perché sa che è esattamente quello il luogo. Il momento più intenso arriva quando ci si lascia travolgere da ciò che si sta ascoltando, entrando quasi in uno stadio di dormiveglia, a quel punto la musica si impossessa di tutto il cervello, trasformando l'esperienza da uditiva a cerebrale e si dipingono delle sinestetiche immagini


mi trovo immerso in quello che rimane di una foresta, indosso una strana armatura, guardo le mani e mi accorgo di stringere degli strumenti provenienti da un'era ormai scomparsa. Scruto intorno a me le macerie ancora fresche di ciò che mi circonda. La sensazione di essere sopravvissuto ad una tragedia. Un tronco bruciato completamente nero attira la mia attenzione, mi ci avvicino per scoprire un cumulo di cenere. Stordito e confuso mi aggiro reggendomi a fatica sulle gambe, devo aver lottato, ma non ricordo contro cosa, non ricordo contro chi, e soprattutto non ricordo perché. Getto per terra quelle ridicole armi, un mazzafrusto e una daga spezzata, e mi domando come abbia potuto resistere così attrezzato in quella distruzione. Mi libero della cotta di maglia che mi rende difficili i movimenti e resto vestito solo di un paio di pantaloni sgualciti, strappati e sporchi. Per terra la sabbia, e solo allora mi rendo conto dei colori innaturali del luogo. Il cielo marrone sovrasta sopra il grigio consumato delle macerie, e un arancione spento attutisce i miei passi. Mi siedo e ascolto. Il suono di una rinascita, quella che inevitabilmente giunge dopo una sconfitta. Forse ho perso? Sono stato risparmiato per pietà? Sono scappato? Non lo so, sono vivo. Cotta di maglia, daga, mazzafrusto giacciono a terra e contrastano con la rovina presente, figlia di una catastrofe nucleare: una mostruosa e cupa nuvola mi osserva imperterrita dall'alto, espandendosi lentamente fino a ricoprire l'intera distesa con la sua incombente ombra. Echi e riverberi si trascinano nell'aria, come rievocassero ciò che doveva essere successo prima che precipitassi qui dentro. Ascolto il vento, che mi racconta di sofferenza, desolazione, solitudine. Voci ora stanche e sconfitte mi parlano di una fine ormai arrivata mentre altre più sfuggenti mi lasciano intravedere un nuovo inizio. Capisco che entrambe hanno ragione, essendo l'una la conseguenza dell'altra, e viceversa.
Mi faccio coraggio, mi rialzo e continuo a camminare. Adesso l'equilibrio è più facile da mantenere. Un insolito verde mi segnala la presenza di alcuni germogli sommersi dalla cenere, mi chino per liberarli da quel peso mortale e ne scopro degli altri vicini. Gli echi e i riverberi si solidificano, assumono spessore e colgo un senso di nostalgia, e di consapevolezza. Qualche nota di pianoforte aleggia intorno, vola via per poi ritornare. L'assenza è così presente.

Forse ho vinto? Sono stato io a risparmiarmi, mi sono fermato in tempo?
Sono ancora vivo.

Gun-Shy by Grizzly Bear on Grooveshark

lunedì 17 settembre 2012

Pet Shop Boys - Elysium

Pet Shop Boys, Elysium,
Parlophone, 2012
Li abbiamo visti trionfare allo stadio olimpico di Londra, futuristici e statuari, e anche se l'arena ha serbato il suo giubilo per altri momenti, io ho esultato. Mentre nell'intero stadio riecheggiavano le note di West end girls, la canzone che quasi trent'anni fa li presentò al pianeta, imperturbabili e immobili sfilavano lungo la pista dove al resto del mondo era richiesto di correre fino alla nausea, loro, i Pet Shop Boys.

Passano i decenni, giungono le rughe ma Neil Tennant e Chris Lowe restano fedeli all'immagine che hanno mostrato la prima volta, riproponendo ancora una volta la loro personale soluzione allo scontro tra arte e intrattenimento: è incredibile la capacità del duo di far coesistere così pacificamente i due aspetti antitetici della musica, consumo e riflessione. Elettronica da una dose affiancata a voci profetiche, suoni digitali che avvolgono una voce un po' troppo nasale, e per questo ancora più viva sopra a tutti quei sintetizzatori robotici.

La formula segue il canovaccio di sempre: una parola, Elysium, e delle canzoni.
Non un disco, ma una collezione di pezzi fatti di musica e parole. Nessuna unità che leghi le canzoni fra di loro, nessuna continuità, ogni episodio è a sé, completo e realizzato, senza alcun bisogno di anticipatori o successori. Perfetti canzonieri, un po' come i Queen, i Pet Shop Boys sono capaci di crearti un'atmosfera, una potente sensazione nel breve sviluppo di un brano, dai 3 ai 5 minuti. Non stupisce quindi l'ingente mole dei singoli prodotti dai Pet Shop Boys, e del loro successo. Laddove altri artisti necessitano di un intervallo di tempo ben più esteso, loro ci arrivano in un attimo.
Mi è bastato ascoltare una sola volta Leaving per desiderare nuovamente di riviverla senza curarmi di terminare il disco -e dire che è la prima traccia!- come di solito faccio prima di concedere gli eventuali bis in attesa di riascoltare l'intero. Ogni brano vive di vita propria, e se si trova raccolto assieme agli altri è solo un caso. Tra le mani ci si ritrova il classico prodotto pop, la compilation, solo che qui gli artisti sono sempre gli stessi, i sintetizzatori pure, ma le immagini radicalmente e densamente diverse. Dall'ossessiva Ego Music dove pare di ascoltare echi di Art of Noise e degli ultimi Sparks, quelli di Ugly boys with beautiful girls per intenderci, alla trionfante hit che strizza l'occhiolino alle emittenti radiofoniche, dalla sofferta introspezione allo spaccato da musical, figlio forse dell'esperienza del balletto di un paio d'anni fa, abbiamo un universo da ascoltare, e se è vero che ad eccezione di alcuni capitoli le aspettative date dai precedenti Fundamental e Yes restano leggermente insoddisfatte, perché da quei due si pretende sempre di più, mi trovo ora con un nuovo tesoro nel mio olimpo personale, proprio lì, di fianco alla fondamentale Yesterday, when I was mad.

Leaving by Pet Shop Boys on Grooveshark

lunedì 10 settembre 2012

Dumbo Gets Mad - Elephants at the Door

Dumbo Gets Mad,
Elephants at the Door,
Bad Panda Record, 2011
Il giudizio si forma col tempo, cresce con la personalità e l'esperienza, e se non si impone sulle influenze, ne viene assorbito. Da piccolo, dopo aver smesso i pannolini dell'infante per indossare quelli dello scolaro, mi affacciavo curioso al mondo del disegno animato, sguazzando a tempo pieno nel mio impero di disneyane videocassette. Riguardavo ciclicamente ogni titolo in mio possesso, poi col tempo cominciai ad operare delle vere e proprie scelte, dando luce a delle preferenze visibili nelle due file di cassette che andavano a riempire l'apposita mensola: davanti, le pellicole più acclamate; dietro, i titoli che credevo non avessero più niente da darmi. Dovettero passare parecchi anni prima di ridare un'altra possibilità alla seconda fila. Non ricordo più la ragione per cui rispolverai proprio lui, forse sospettavo mi fossi perso qualcosa, forse avevo semplicemente voglia di rivederlo, ad ogni modo eccomi là, all'età della bottiglia a trascorrere il pomeriggio davanti al televisore per guardare Dumbo.
Fu una rivelazione, mi aspettavo una favola per bambini e mi ritrovai un'opera visionaria, densa di idee e sentimenti, c'era tutto, la vita il circo la sofferenza la gioia la musica la vendetta la fiducia.. Dumbo è una di quelle cose che ogni volta che riprendi tra le mani scopri una nuova prospettiva che ti era sfuggita, o che non eri in grado di cogliere al suo tempo. Come succede col Piccolo Principe.

La musica di Dumbo è qualcosa di sublime, a cavallo tra la filastrocca e la psichedelia, toccando ora sfumature di una dolcezza unica e di una violenza esasperata. Me ne innamorai, e ad ascoltare i Dumbo Gets Mad credo di non essere stato l'unico.


Le intenzioni sono chiare fin dall'incipit dove un suono indistinto e sporcato dalle molteplici direzioni ci introduce nell'onirico mondo che ci sta aspettando: Dumbo è caduto di nuovo nella botte ma non ne esce sbronzo, adesso è pazzo. Li vedi quei rosafanti ballare davanti a te, ne vieni anche turbato ma è un attimo, la musica è troppo coinvolgente per esserne spaventati e neanche capisci come sia successo, ti ritrovi a muoverti in mezzo a loro. Le immagini si sciolgono, d'improvviso è notte e le stelle affollano il cielo, splendono di una luce irreale, dilatate dalla nostra instabilità mentale. Spicchiamo il volo e ci troviamo a viaggiare in mezzo a quei punti luminosi, li raccogliamo tra le mani, ci facciamo pungere dai loro raggi e li lasciamo liberi, scoprendo un cumulo di cenere bianca tra i palmi. Ci stiamo allontanando, inghiottiti dal buio più cupo, l'universo dietro di noi, sempre più piccolo, più indistinto. Ci giriamo per osservarlo ancora un'ultima vuota, prima di svoltare l'angolo e allontanarci definitivamente. Niente. Ci troviamo nel nulla, accolti da ritmi sincopati e voci multiformi, sembra perfino di udire un indistinto Paperino, le nostre fantasie si confondono con l'ambiente che ci circonda. Sintetizzatori sfuocati ci ipnotizzano mentre cerchiamo di capire da dove provenga tutta quella musica e solo allora ci accorgiamo dei colori che popolano quel buio più cupo. Vedo il giallo, dondolarsi regolarmente, cadenzando le sue sfumature, e il blu, che lo abbraccia facendolo ruotare in un ballo frenetico, e poi colori che non avevo mai visto, che non appartengono a nessun mondo, ma solo alla fantasia. Improbabili arcobaleni si sdraiano ai nostri piedi invitandomi a seguirli, e io accetto l'invito.

La mia pazzia sono le auricolari nelle orecchie, e i Dumbo Gets Mad che suonano per una festa il cui unico invitato sono io.

Marmelade Kids by Dumbo Gets Mad on Grooveshark

domenica 2 settembre 2012

Get Well Soon - The Scarlet Beast O'Seven Heads

Get Well Soon, The Scarlet Beast
O'Seven Heads
, City Slang, 2012
Per qualche strana legge naturale la meteorologia rispecchia lo stato d'animo, o più ragionevolmente la propria emotività viene influenzata dalle condizioni climatiche.

Piove, esattamente come quel giorno.
Sconfitto scendevo le scale del condominio, convinto di non risalirle mai più. Qualche goccia scivolava dalle grondaie richiamando il mio sguardo, dense nuvole sul punto di scoppiare riflettevano i miei sentimenti, lacerati. Seguivo i miei passi, non sicuro di dove mi avrebbero condotto, potendolo solo immaginare, e riflettevo, sugli errori, sui rimedi, sulla pioggia. Bisognoso di conforto e desideroso di ascoltare nuove voci, entrai nel mio tempio trovandomi immerso in cumuli di dischi che mi osservavano da ogni angolo. Girai brevemente a vuoto quando la mia attenzione venne attratta dall'immagine di un uomo dai colori sbiaditi che disperato si cancellava il volto con le proprie mani, un quadro inquietante che mi tolse ogni dubbio: quello era ciò che stavo cercando. Allungai il braccio per prendere l'oggetto e leggere la scritta a lato del dipinto, Get Well Soon Vexations. Non capivo cosa fosse il nome del gruppo e cosa il titolo dell'album, ma mi piaceva il contrasto creato dalle parole e dal disegno.
Non ci misi molto a capire l'inganno: get well soon non era una promessa, era un augurio. Per di più, non era rivolto nemmeno a me, ma a tutti, e soprattutto a Konstantin Gropper, l'artefice di quei dolci tormenti. Naturalmente non mi fece sentire meglio ma l'ascolto di quella musica mi permise di ridimensionare i dolori che mi perseguitavano, collocandoli in un contesto più ampio, universale, in cui essi occupavano una posizione minima, e sorrisi delle mie pene. 

Passano i millenni, e le angosce umane restano sempre quelle, così, a due anni di distanza da quel giorno mi ritrovo ad affrontare nuove piogge, nuovi tormenti, sempre gli stessi eppure nuovi, e Get Well Soon è ancora qui, a tenermi compagnia, a mostrarmi quanto tutto ciò mi renda umano e grande, e se dovesse venirmi il dubbio, no, non sono solo, la mia condizione è cosmica, così insignificante e assoluta allo stesso tempo.
Nessuna sofferenza, ma un'elegante ed estetica decadenza, dimentica del dolore innalzato ora ad arte,
sorretta da maestosi barocchismi e straripante epicità. Il ritmo si trascina, consapevole di ciò che viene narrato, gli strumenti inizialmente intimiditi dalla portata del messaggio si rinforzano di riverberi e strategie rock, chitarre assassine e voci tenebrose, fino a farsi travolgere da una delicata potenza di cui sono fatti messaggeri.

Ho letto un'intervista a Konstantin Gropper ma non ci ho capito troppo. L'incomprensione forse era dovuta al fatto che era scritta in tedesco, ma più probabilmente perché una musica come quella dei Get Well Soon non si può raccontare, né racchiudere nella parola Melincholie cui spesso accennavano nell'articolo. La sua musica è così densa che basta un brano a caso per penetrare in quel misterioso mondo angosciato e malinconico, ma c'è qualcosa di più, non un lamento, un trionfo. Cori provenienti da mondi ultraterreni, chitarre assassine e giubilanti fiati annunciano un'apocalisse interiore ma ci dicono di non aver paura, non dobbiamo provare compassione né cercare redenzione o alcun altro tipo di salvezza, dobbiamo solo sentirla, e viverla, perché è questo che ci rende reali, e simili.
Ogni nota, protratta così a lungo, ogni battito, violento e irruente, ogni costruzione armonica, riflessiva e introspettiva, trova la sua naturale disposizione permettendo a chi la ascolta di raggiungere quell'assoluta empatia, perché solo così si può realizzare l'augurio inciso su ogni copertina e superare ogni tormento.

Quelle scale, le risalii.

You Cannot Cast Out The Demons (You Might As Well Dance) by Get Well Soon on Grooveshark