domenica 4 marzo 2012

Anstam - Dispel Dance

Anstam, Dispel Dance,
50weapons, 2011
Quando ero piccolo erano gli anni '90, e com'era giusto che fosse in quel periodo, anch'io avevo una tastierina, un piccolo casio con cui sbizzarrire il mio estro creativo, schiacciando a caso i tasti bianchi quanto quelli neri. La bellezza di quel giocattolo, perché nemmeno nell'ignoranza fanciullesca l'ho mai considerato veramente uno strumento, erano i suoi molteplici effetti, certo, non tanti come quelli del grande casio con cui mio padre si divertiva in modo più convenzionale, ma comunque abbastanza da non essere ignorato dalle maldisposte orecchie dell'ambiente domestico. Ancora oggi nella mia testa riecheggiano le sirene delle ambulanze, lo sbattere di tubi metallici, o gli improvvisi scratch, selezionati accuratamente tra gli effetti e riprodotti di continuo, uno per volta o sovrapposti, con cui mi esibivo per casa grazie a quell'infernale marchingegno che solo più tardi capii essere un rudimentale sintetizzatore.
Accanto a quei suoni, ce n'era un'altro fondamentale di cui avevo perso memoria ma nella seconda traccia di Dispel Dance mi viene spietatamente ricordato, l'inconfondibile clacson di un aeroplano. Un suono monotono, artificiale, imponente e turbante, ripetuto con cura e regolarità, per poi essere affogato da un ritmo aggressivo, una corsa ossessiva verso una meta sconosciuta, cui rivolgere la propria fuga.

Anstam è un progetto che vive e cresce nei bassifondi musicali, tra echi di techno e house, dove non si balla ma ci si lascia travolgere da sincopi elettroniche: dubstep, parola che non conoscevo, e che tuttora accolgo nel mio vocabolario con una certa fatica.
Anstam non ha una tastierina ma un mostro, apparentemente indomabile, ma è solo il primo ascolto, quello in cui disordine e smarrimento predominano. Superata la confusione iniziale si intravedono strutture e schemi, intricati e nascosti, ma presenti.
Dopo 3 ep noti nell'ambiente, l'esordio di Anstam arriva inaspettato e coperto da nebbia, non si è nemmeno sicuri di chi si celi dietro questo nome, anche se le voci più attendibili parlano di due fratelli tedeschi, di Berlino. I dati anagrafici non aggiungerebbero comunque niente all'alienazione dei suoni, potrebbero anzi guastare quella asettica impersonalità che per tutto l'album si fa pressante, invadente, calandomi in un vortice d'inquietudine. La mente si dimena mentre gli auricolari trapanano il cervello, per gonfiarci al suo posto un palloncino che mi possa riempire completamente all'interno, soffiando fino a farlo esplodere e allora ricado in uno stato di assenza.

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