lunedì 20 febbraio 2012

of Montreal - Paralytic Stalks

of Montreal, Paralytic Stalks,
Polyvinil, 2012
Chiedi a un bambino di cantare una canzone, di inventarla su due piedi. Se non diventa rosso dall'imbarazzo cercando con occhiate furtive un rifugio nei paraggi, è probabile che comincerà ad arzigogolare un ingenuo e variegato lalala, che non rispetta alcuna struttura, anzi, in vista di un prevedibile risvolto, volutamente esce dagli schemi illudendosi di mostrare una certa maestria. O almeno, così avrei fatto io, e così feci quando se ne presentò l'occasione. Kevin Barnes sembra non essere mai uscito da quello stadio infantile, le sue melodie sono spesso sregolate, imprevedibili e in quest'ultimo lavoro si fa più evidente la sua ossessione a non compiacere l'ascoltatore, e così quando hai già cominciato a canticchiare un simpatico motivetto, pam! lui te lo stravolge, costringendoti a ricominciare da capo. Dopo numerosi ascolti ancora non riesco a entrare nello spirito dell'album, c'è qualcosa che non riesco a cogliere.
Il disco è un caleidoscopio di suoni e atmosfere, un frullato di generi, che sfugge da ogni catalogazione rientrando in quello tipico degli of Montreal, uno stile da sempre colorato, ma ora le tinte si fanno più opache, stanche, delle appariscenti pennellate gettate distrattamente.

Se nella prima parte dell'opera ci si ritrova sommersi da numerose intuizioni, idee accennate e solo raramente sviluppate, sorprendenti e destabilizzanti cambi di rotta, nella seconda si è scaraventati in un vortice di assenza. A metà del settimo pezzo, dopo aver toccato il rock, la bossa nova, il noise, la dance, la psichedelia, solo per citarne alcuni, la giostra si interrompe per lasciare un enorme spazio ad una serie di suoni e rumori indefiniti, una lunghissima bonus track alternata a pochi momenti di respiro che scorre fino alla fine, per quasi venti minuti, terminando con quella che avrebbe dovuto essere il vero -e unico- pezzo in più, un intimo voce e piano. Si potrebbe parlare di sperimentale, di concettuale ma in qualsiasi modo lo si giustifichi, ci sono interi minuti di incomprensibile fastidio. Sembra che il gruppo urli il suo disperato grido di sofferenza, mostrando il tormentato animo che la giocosa maschera nasconde.
Già in passato si era intravisto questo aspetto più cupo. Nell'allegro The sunlandic twins, verso il finale sono presenti degli angosciati toni di noia, ma il seguente Hissing fauna, are you the destroyer? aveva scacciato ogni demone, riuscendo ad incanalare nel verso giusto anche i lati più oscuri e donando agli of Montreal un album superlativo.
Forse il problema di Paralytic Stalks risiede nel suo concepimento casalingo, dove l'artefice è rimasto isolato nel suo mondo, senza permettere ad altri di farne parte. Forse sarebbe bastato ripulirlo un po', alla luce del sole, ma così non avremmo potuto godere dei versi alcolizzati, quasi esasperati ruggiti, di Spiteful Interventation, o di quelle cinque note in croce da brividi del pianoforte in Wintered Debts, o dei falsetti beegeesiani di Dour Percentage o.. forse sì.

1 commento:

  1. Grazie per questa interpretazione acuta ed enormemente versata. Fa davvero piacere leggere le tue recensioni!

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