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Godspeed You! Black Emperor, Allelujah! Don't Bend! Ascend! Constellation, 2012 |
Dopo l'euforia iniziale, in cui entusiasticamente si abbracciano a rotazione gli strumenti disponibili, e aver sperimentato ogni possibile capriccio amplificato, arriva il momento in cui ci si accorge che forse sarebbe stato meglio provare prima per bene qualche pezzo invece di fiondarsi in sala prove con l'illusione che suonare con altre persone sia altrettanto semplice del farlo da soli. Un paio di sessioni siffatte dovrebbero avermi insegnato che il gruppo ha bisogno di studiare, è necessario un affiatamento niente affatto scontato per poter realizzare qualcosa che valga, eppure mi è accaduto più volte di presentarmi in sala prove impreparato come il resto della ciurma, e il processo si ripete: esaurite le novità del luogo, ci si ritrova con il semplice interrogativo, "e ora?". Se si escludono i tentativi di istruirsi vicendevolmente riguardo un ipotetico brano da eseguire, a questo punto rimane l'alternativa dell'improvvisazione. Una volta mi successe qualcosa di strano. Mi trovavo alla chitarra ed eravamo finalmente approdati al dilemma: in tacito accordo scegliemmo la pericolosa via dell'improvvisazione. Incominciai a far risuonare delle note, lente e ripetute, sempre le stesse tre, mentre intorno a me si stava erigendo un muro sonoro che evidenziava la solennità del mantra che stavo eseguendo. Ero concentrato sulla mia parte, ma allo stesso tempo sentivo di appartenere ad un disegno più ampio che coinvolgeva tutti gli elementi, ognuno racchiuso nella voce del proprio strumento, che insieme andavano a formare un unico essere, dove nulla prevaleva ma si trovava al posto giusto. Riuscivo a sentire la voce del gruppo.
Un'opera in quattro movimenti, dove il rumore si trasforma in suono, sublimandosi in sinfonia. Senza i limiti di tempo e significato tipici della canzone, la musica dei Godspeed You! Black Emperor cresce imponente, lasciando che siano i suoni a comunicarsi in tutta la propria essenza. I tempi si dilatano, i minuti scorrono mentre mi sento preda delle vibrazioni e delle scene che stanno dipingendo intorno a me. Schizzi di inquietudine, l'impressione che stia per accadere qualcosa, ancora non mi è dato di sapere della sua bontà, ma ne percepisco l'importanza. Lentamente, e solo dopo una preparazione maturata in lunghe sedute, il velo si scosta e mi viene mostrata l'accecante verità. Distolgo lo sguardo tanto brilla, ma ne sono attratto e allora ritorno a guardare, e come a premiare il mio coraggio, la musica mi pervade, accendendomi proprio come ciò che sto fissando, e sento il giallo che sprigiono.
Un disco monumentale, che, se inizialmente mi aveva lasciato indifferente intuendone comunque la mole, con l'avanzare degli ascolti mi accorgo di quanto sia profondo e gigantesco. Un'illuminazione, che coi mezzi relegati a quello che fastidiosamente viene detto classico, mette in luce il potere della musica, la sua espressività, la catarsi che ne deriva. Un atto d'amore, quello che ho sentito mentre i violini si lasciano trasportare su un tappeto di chitarre ossessive e il procedere trascinato dei ritmi, fino a raggiungere la tanto ambita sospensione, e poi di nuovo, ancora e ancora.
La voce del gruppo, qualche volta mi è successo di farne parte, e ad ascoltare i GY!BE avviene anche senza uno strumento.
La voce del gruppo, qualche volta mi è successo di farne parte, e ad ascoltare i GY!BE avviene anche senza uno strumento.
Post-rock lo chiamano, ma in futuro lo si dovrà cercare sotto classica.
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