sabato 3 novembre 2012

Efterklang - Piramida

Efterklang, Piramida,
4AD, 2012
Spengo la luce perché al buio è l'immaginazione a illuminare.
Giorno e notte si annullano, il nero artificiale e claustrofobico di una stanza senza finestre ha preso il loro posto. Apro e chiudo gli occhi per assicurarmi che non siano le palpebre ad impedirmi di vedere, ma non cambia nulla, una terribile assenza mi si stende di fronte. In ogni direzione un nero sconfinato accoglie i miei sguardi, e se con la mano cerco l'interruttore che ho premuto poco prima, non lo faccio per azionarlo, ma solo per mostrarmi di non essere sprofondato realmente in questo non-luogo. La mia ragione vuole sapere di avere la possibilità di tornare indietro. Discretamente, come per non denunciare una certa inquietudine, allungo le dita verso la parete, e nel momento in cui mi aspetto di trovare l'oggetto della mia ricerca, perdo l'equilibrio, e nessuna parete raccoglie le mie esitazioni, anche qui, il nero ha preso il loro posto. Colto da un'improvvisa disperazione agito le braccia in maniera scoordinata, senza pensare che in questo modo alimento solo le mie paure, ma devo trovare quel pulsante, schiacciarlo, tornare dove mi trovavo! Inutilmente le mie mani si aggirano da ogni parte, e dopo aver realizzato che intorno a me non c'è più nulla -l'avevo già intuito, non volevo accettarlo-, decido di respirare profondamente e chiudo gli occhi, senza provocare nessun apparente cambiamento alla realtà che mi circonda, ma adesso non c'è più la ragione a distrarmi. Solo in questo momento mi accorgo di come la causa della mia cecità non fosse il vuoto, ma la vista stessa. Mi concentro sulle impressioni, le sensazioni che la situazione mi offre, affidandomi agli altri sensi, noti e ignoti.

Mi muovo, inizialmente procedo a tentoni cercando di non sbilanciarmi troppo ad ogni passo che faccio, ma presto mi affido all'istinto, e ogni volta che inciampo, mi rialzo e ricomincio a vagare senza meta, deciso a raggiungerla. Non mi ero ancora reso conto del leggero odore di pesca, o forse melone, che si respira, annuso più forte, decisamente pesca. Cammino senza curarmi di avere una postura corretta, seguendo una direzione indefinita e delicatamente irrazionale. Ho perso la concezione del tempo, concetto che in questo spazio ha perso valore, come le proporzioni.
Lentamente sento avvicinarsi dei suoni, sospiri strumentali provenienti da ogni dove che giungono fino alle mie orecchie. Delle voci sovrumane, troppo umane, la cui intensità è monumentalizzata dalla quiete dei suoni su cui poggiano, si mischiano alle orchestrazioni che si vanno costruendo. Una presenza sonora ancora più acuta del buio che ho sconfitto mi sta assorbendo. Apro gli occhi e scopro una moltitudine sconfinata di suoni scorrere placidi, lasciano scie infinite da ripercorrere in un'altra forma, volteggiano e fluttuano come fosse la cosa più naturale. Riconosco tra loro voci e note, avverto echi e atmosfere, ma è difficile individuarle, si scompongono e si riformano in nuove creature, senza però alterare l'insieme, limpido.
Porto le mani al volto per avere conferma, le mie palpebre sono ancora abbassate.

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