Beach House, Bloom, Sub Pop, 2012 |
Conoscevo bene una sola canzone dei Midlake, Young Bride, ma l'intensità del pezzo bastava a giustificare la mia presenza tra zanzare e altri spettatori del concerto. Ero completamente impreparato per la serata ma riponevo grande fiducia nel gruppo e nella loro spalla, qualunque essa fosse, e forse questa predisposizione era ancora meglio del conoscere l'intero repertorio della band e rimanere poi deluso per l'assenza nella scaletta dei tredici brani preferiti. Fui sorpreso quando il gruppo si presentò sul palco, non tanto per l'elevato numero di elementi quanto per la spropositata incombenza delle chitarre: su sette musicisti, quattro ne avevano una a tracolla. Non fu l'unica sorpresa della serata, l'altra era stata precedente. Quelli che avrebbero dovuto essere delle comparse, degli intrattenitori in attesa del vero spettacolo si rivelarono essere i protagonisti. Conobbi così i Beach House.
La donna dai capelli scarmigliati si ergeva dietro la tastiera in mezzo al palco, mostrando di rado il volto coperto dalla lunga chioma, tanto da farmi inizialmente confondere riguardo il sesso e l'età; a incorniciare la scena in una simmetria che esaltava il profilo centrale, due uomini seduti, a sinistra la chitarra, a destra la batteria. La voce della donna aveva qualcosa di misterioso che si mischiava incredibilmente col suono sognante della chitarra. La batteria cadenzava ritmi ordinati e metricamente organizzati, donando vitalità alle drum machine dei dischi che riproponeva. Il suono travolgeva l'uomo alla chitarra, che autisticamente ne seguiva il ritmo con il corpo, e la donna alla tastiera, la cui criniera danzava sopra i tasti, mentre io sentii i brividi.
Ascoltando i Beach House è difficile credere si tratti di ragazzi o poco più. Le atmosfere che creano mostrano un'esperienza e una stanchezza propria di chi le ha vissute a lungo sulla propria pelle, le loro sono delle ninna nanne suonate in tarda notte per adulti malinconici e riflessivi. L'impassibilità dei ritmi elettronici contrastano con il calore della particolarissima ed elegante voce di Victoria Legrand, a tenerle insieme sono gli arpeggi e i contrappunti di Alex Scally, metodici e liquidamente melodiosi, che si trasformano in assoli mai sopra le righe ma che tornano a sottolineare quanto detto prima umanamente.
Con uno stile personale e inconfondibile, tinto di nostalgia e speranza, una tristezza mista a gioia, i Beach House raccontano il loro delicato universo, dove ogni brano appartiene ad un meraviglioso mosaico.
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