Low, HEY WHAT, Sub Pop, 2021 |
Avevo cominciato da poco ad appassionarmi a quelle estensioni musicali racchiuse in scatolette metalliche. Da decenni i pedali accompagnano i chitarristi contribuendo a definirne il suono, meno scenici di una chitarra elettrica ma altrettanto fondamentali, se non di più. Interi generi musicali sarebbero impensabili senza pedali per chitarra. Quello che aveva cominciato ad affascinarmi erano però dei pedali completamente diversi da quelli che avevo sempre conosciuto. Si trattava di effetti insoliti, che trasformavano radicalmente il suono della chitarra, stravolgendolo, spezzettandolo, mischiandolo, effetti innovativi che rendevano la chitarra uno strumento diverso seppur mantenendone l'identità. Scoprii un universo sommerso di entusiasti come me e provavo un interesse smodato e incomprensibile a guardare video esplicativi di questi complicati giocattoli. Le possibilità sonore erano infinite, un semplice pizzico di una corda poteva divenire un tripudio di sfumature soniche, eppure faticavo a trovare tracce di questo incredibile mondo sonoro nella musica che mi entusiasmava. Era come se tutte quelle magie sonore restassero confinate nel mondo delle possibilità. Se attraverso i pedali esploravo dettagli di tecnicismi acustici, la musica che ascoltavo restava indifferente a tutto ciò. Non avrei creduto che a colmare questo divario sarebbe stato lo stesso gruppo che trent'anni fa si muoveva nelle atmosfere lente e pacate in ciò che era chiamato slowcore.
Sporco e preciso nei dettagli, il suono di HEY WHAT sono chitarre e chitarre irriconoscibili, voci e voci sinuose. Ruvide e delicate, le canzoni sono fragili melodie sdraiate su suoni aggressivi e martellanti. La batteria quasi completamente assente sostituita da note distorte. Le chitarre sono dappertutto, appropriandosi anche degli spazi ritmici, sostituendo con note distorte quasi completamente il ruolo affidato alla batteria. Brani maestosi che si sublimano in un armonico rumore e brani teneri che si sciolgono su atmosfere eteree.Ogni brano è legato al successivo, dando vita ad un pezzo unico e omogeneo. Laddove di solito i respiri sono tra una canzone e l'altra, qui si trovano all'interno dello stesso brano, che si acquieta, si tranquillizza per poi rinvigorirsi. Un costante equilibrio tra rumore e armonia.
Difficile classificare il genere del disco, mi è capitato perfino di trovarlo sotto la voce "elettronica", cosa piuttosto inusuale per un album quasi interamente composto da sole voci e chitarre. La realtà è che gli strumenti principali qui sono sì le voci e le chitarre, ma anche gli effetti per chitarra. Sembra come se i brani siano nati dagli effetti e dalle loro possibilità. Microloops e distorsioni, riverberi e feedbacks più che accordi e riff. Quello che a descriverlo può sembrare un disco freddo e disordinato è invece di una profonda bellezza e commuovente intimità.
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